Con le donne in alternativa al carcere

18
Lug

“In nome della Chiesa siate misericordiosi, tanto misericordiosi” esortava con forza Papa Francesco i nuovi presbiteri il 17 aprile u.s. Questo invito vale anche per chi si occupa del progetto “Lembo del mantello femminile” che accoglie donne, anche con figli, in misura alternativa al carcere, già da qualche anno, all’interno del complesso educativo di Villa Savardo, a Breganze.

Il “Lembo del mantello”, come comunemente viene definito, fa parte del Progetto Esodo, nato nel 2005, coordinato dalle Caritas diocesane di Verona, Vicenza e Belluno, sostenuto dalla Fondazione Cariverona e svolto in collaborazione con gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) e le équipe educative del carcere di provenienza delle persone accolte.

Esso è rivolto a persone condannate in giudizio, che usufruiscono di pene alternative al carcere, ma non possono contare su sostegni familiari adeguati. A queste persone vengono offerti accoglienza e percorsi di riabilitazione e di reinserimento socio-lavorativo, affinché chi ha sbagliato veda di fatto riconosciuto, attraverso un accompagnamento individuale, il diritto ad una nuova vita fatta di legalità e dignità; dove è fattibile, si favorisce anche il ritessere quei rapporti familiari che le situazioni problematiche hanno lacerato.

Come Suore Orsoline SCM abbiamo assunto, secondo la nostra ‘mission’, l’aspetto femminile del progetto all’interno di questa “cordata di misericordia”, dove i volti e le storie delle persone incontrate, a volte, sono diventate in maniera sorprendente luogo di manifestazione della grazia e della misericordia di Dio.

Il Lembo del mantello femminile occupa un appartamento autonomo all’interno di Villa Savardo dove è possibile ospitare fino a quattro donne con i loro bambini; accompagna la vita quotidiana la presenza di una religiosa, di una educatrice, di una giovane del servizio civile e di altri volontari amici della comunità religiosa.

Il Progetto si muove nella prospettiva di promuovere e coinvolgere in termini di partecipazione e responsabilizzazione sia la persona detenuta, attraverso progetti individualizzati e differenziati, che la comunità civile, attingendo risorse e lavorando in rete per l’inclusione socio-lavorativa.

Come abbiamo già detto l’attenzione si focalizza in particolare sulle detenute che possono contare poco o nulla su sostegni familiari, e in tale senso ci sono le donne straniere. La prima fase si svolge all’interno del carcere, dove gli operatori del Progetto, anche su segnalazione dell’equipe trattamentale dell’Istituto penitenziario, incontrano le persone detenute attraverso colloqui individuali di sostegno e si inizia una relazione di conoscenza reciproca, anche epistolare. Questo passaggio è fondamentale per capire il tipo di reinserimento necessario. Se si ritiene positiva la valutazione di accoglienza nel nostro Progetto, in collaborazione con l’educatore del carcere e l’assistente sociale dell’UEPE si elabora un percorso di inserimento socio-lavorativo per la persona, al fine di ottenere dalla Magistratura di sorveglianza il provvedimento più opportuno.

La persona accolta viene ri-motivata alla vita ordinaria. Operatori e volontari accompagnano con rispetto, delicatezza e attenzione verso l’obiettivo di un’armonia interiore ed esteriore. Attraverso uno stile di famiglia, viene proposta una regolarità negli orari, nei pasti condivisi, nell’impegno nella conduzione della casa, nella sobrietà dei consumi, nella sana cura di se stesse come donne, nelle relazioni oneste fra esseri umani: cioè dando significato e responsabilità ai piccoli e grandi impegni della vita di ogni giorno. Aspetti questi che il carcere, e prima il reato stesso, possono avere resi insignificanti. I percorsi personali possono essere passi piccoli e passi più lunghi, a seconda delle fragilità e delle risorse di ogni persona. E’ necessario dare del tempo alle persone e avere quella pazienza del “saper seminare” con fiducia verso l’essere umano. Le carcerate sono persone ferite dalla vita e per questo portate a trasgressioni delle norme che regolano la convivenza civile. I fallimenti, le delusioni, le cadute proprie e degli altri, non precludono la riuscita dell’impegno, ma sono esperienze che possono lasciar intravvedere nuove consapevolezze, se rivisitate.

Nella comunità, in attesa di un lavoro o di un tirocinio, con l’aiuto dei volontari vengono organizzati corsi di taglio e cucito, corsi di pittura su stoffa e creazione di oggetti con creta, corsi di lettura ad alta voce (LAV) che esercitano all’ascolto, corsi di scrittura autobiografica, corsi di danza.

Il percorso di inclusione socio-lavorativa avviene all’inizio presso cooperative sociali del territorio in rete con il Progetto Esodo. Poi si spera sempre che il lavoro si trovi in una ditta normale. Ma quanti pregiudizi ancora s’incontrano su questa strada! Il lavoro o il tirocinio è finalizzato all’acquisizione o ri-acquisizione di una “cultura del lavoro”, intendendo con tale termine la capacità di concentrarsi durante l’orario di lavoro e di applicarsi alle proprie mansioni con competenza. Il lavoro è esercizio per imparare ad eseguire correttamente il proprio compito, ad interagire con i colleghi in modo corretto, a rispettare orari, a guadagnarsi il pane con il sudore della propria fronte. Il lavoro è un apprendistato per assumersi le proprie responsabilità, acquisire autonomia, indipendenza e gestire la propria libertà senza danni per sé e per gli altri esseri umani.

Gesù nel Vangelo ci presenta il carcerato come una persona bisognosa di cure e di relazione. Se il malato o l’affamato o l’assetato o chi è nudo (Mt 25,35-36) sono delle vittime, come persone segnate da disgrazie, il carcerato porta lo stigma di una colpa, di un delitto commesso. Ma Gesù, che si è fatto compagno dei peccatori e delle persone disoneste, annuncia a tutti la possibilità di una conversione e ci chiede di non giudicare mai il peccatore, anzi di riconoscere in lui un fratello con cui essere solidali e misericordiosi. La compassione però non si può fermare su un piano sentimentale, ma comporta un livello pratico e concreto fatto di atti di generosità, vicinanza, aiuti materiali e solidarietà comunitaria.

Il merito più grande del Progetto Esodo è quello di aver fatto sedere tutti i protagonisti attorno ad un tavolo operativo e di confronto: dalle istituzioni, al mondo del volontariato, sia laico che cattolico, alle realtà imprenditoriali del territorio. Sono piccoli semi, ma crediamo siano significativi e fecondi, capaci di portare frutti buoni per la  realizzazione di una società più umana e giusta, degna di essere abitata indistintamente da tutti.

Sr. Celina Pozzan e sr. Natalina Edda

 

Leave a Comment