Chissà se si addensa

16
Apr

Dovrebbe addensarsi di più: così non va, è troppo molle, è ancora piena d’acqua. Certo non ci posso aggiungere addensanti… dove li trovo? E poi no, non è in linea con la scelta naturale e bio che abbiamo fatto. Dobbiamo essere coerenti con ciò che abbiamo scelto e deciso insieme. Certo che se questi lamponi sono così acquosi, come faccio io a fare una  marmellata di qualità, buona e sana?

Invece i mirtilli sono migliori: questo succo sta venendo davvero splendidamente. Sarà pronto tra poco, così lo potremo offrire domani al gruppo che viene a visitarci: torta casalinga farcita con marmellata di lamponi accompagnata da succo di mirtilli. E magari anche il caffè: solo che questi ospiti vengono dall’Italia, non so se faremo brutta figura con il nostro caffè non – espresso!

Ma la marmellata, la marmellata… mi fa impazzire! Per fortuna abbiamo dei vasetti di scorta, già pronti da un po’ di tempo: con la nostra etichetta, il bel coperchio colorato: tutto in regola, siamo ormai sul mercato.

Speriamo bene! Ajna deve andare a scuola, e i soldi non bastano mai: ma lei deve andare, farò di tutto per riuscire a farla studiare: non può rimanere sempre qui vicino a Bratunac. Deve farsi una vita nuova: magari andare a Sarajevo, la città dell’incontro dei popoli, la Gerusalemme d’Europa, oppure a Spalato, dove una ragazza intelligente come lei può fare da guida turistica ai tantissimi visitatori che arrivano per vedere il palazzo di Adriano, oppure…

Lo so, questi sono i sogni che avevo io: e che non ho realizzato, che la guerra incomprensibile e tragica che abbiamo vissuto ha spezzato in mille schegge. Non posso chiedere a mia figlia che sia il prolungamento di ciò che io non ho avuto e non sono riuscita a realizzare. No, non è giusto: per lei, e anche per me.

Ma come mi piacerebbe che lei riuscisse a studiare e ad andare all’Università! A volte la guardo, quando fa colazione con i suoi fratelli. È così premurosa, dolce, quasi materna: d’altronde, è la più grande, e si sente molto responsabile delle due piccole pesti che sono arrivate dopo di lei!

Anche Marko qualche volta la guarda con dolcezza: quasi con tenerezza. E a me si allarga il cuore. Posso stare tranquilla: per lui, è sua figlia. Lui è suo padre. Mai lei verrà a sapere. Mai. Non glielo dirò mai: e nemmeno Marko. Nessuno. Solo noi sappiamo cosa è successo. Noi, con il nostro cuore trafitto da spade di dolore, sempre, ogni giorno, quando vedo i nostri vecchi vicini di casa, o vado al negozio che c’è in centro. Mi guardano in quel modo… lo so cosa vorrebbero chiedere, cosa vorrebbero dirmi: ma tacciono, perché adesso non è più come vent’anni fa, che potevi usare le donne di quelli che per te erano diventati i tuoi nemici, e umiliarle con l’arma più vile e degradante che tu hai in corpo. Adesso no: adesso non parlano. Ma mi guardano.

Ci ho messo tanto tempo a non sentirmi più in colpa: perché dentro di me il senso di colpa era grande, era incontenibile. Dopo che ci avevano legate ai termosifoni della scuola (la scuola dove venivano tutti i bambini, ad imparare che in Jugoslavia eravamo  un unico popolo), io chiudevo gli occhi: non volevo vedere chi era, chi erano. Non volevo ricordare. Ma li sentivo: mi distruggevano dentro, per tanto tempo. Tornata  a casa mi lavavo, mi strofinavo, ma la vergogna non si toglieva. Giorni che non finivano mai. Silenzi. Tristezza, infinita tristezza. E poi, quella vita che si muoveva dentro di me, alla quale rivolgevo parole dolci e amare, che rifiutavo e che accettavo, che avrei voluto non ci fosse, che volevo distruggere come loro avevano distrutto me. I miei vicini, il proprietario del negozio in centro: a chi avrebbe assomigliato questo figlio dello stupro etnico? Non volevo saperlo. Non volevo ci fosse. Non volevo farlo nascere.

È stato Marko, il mio fidanzato, a rendermi madre: quel figlio sarebbe stato suo, come io sarei sempre stata la donna della sua vita. Ci siamo sposati con Ajna che sembrava davvero somigliasse al padre: ma lei assomiglia soprattutto a me.

La vita è ricominciata, gli accordi di Dayton ci hanno inferto un duro colpo, la convivenza è difficilissima, i ricordi non si cancellano. La povertà si allarga, le prospettive sono sempre a breve termine. Marko è un bravo marito e un bravo padre, ma il lavoro non basta per sostenerci tutti, per darci un futuro migliore.

È  soprattutto la fiducia a vacillare, la fiducia nella possibilità di bene dell’essere umano: quando hai visto quali atrocità può commettere, ti chiedi se c’è davvero un Dio che ha creato buono il genere umano. La fede, la fiducia, vacilla. C’è bisogno dell’amicizia, della vicinanza, e tra noi donne abbiamo cominciato a riunirci, grazie ad altre donne che, con il finanziamento venuto da lontano, forse dall’Italia, ci aiutano a parlare, a ricordare: si riaprono ferite mai guarite, perché se le lasciamo imputridire, ci faranno morire di vergogna. Ed è quello che loro volevano: annientarci nella vergogna di esistere. Parlare, piangere, ridere insieme, confrontarci, darci delle soluzioni per il futuro è la nostra forza. Non servono grandi cose: la terra, ce l’abbiamo; le piantine, ce le portano con i finanziamenti di varie persone dal mondo; i fornelli e le pentole, sono delle nostre case. La nostra arte: di sfamare ancora la vita, di ritrovare fiducia, di ridere ancora e di guardare al futuro, a questi nostri figli, a tutti loro, che potranno essere diversi e dar vita ad un paese diverso.

Eccola! Si sta finalmente addensando come dico io: la nostra marmellata sarà il fiore di benvenuto che daremo a chi viene a visitarci da lontano. E guarderemo queste altre donne e altri uomini, attingendo anche da loro un po’ della fiducia che hanno nella vita. Per andare avanti, vivendo.

A cura di sr. Federica Cacciavillani

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