Chiesa che verrà o Chiesa che c’era già?

01
Ott

Accogliere questo tempo per riscoprirsi senza le risposte, in cammino con tutte e tutti

“La pandemia è una crisi e da una crisi non si esce uguali: o usciamo migliori o usciamo peggiori. Noi dovremmo uscire migliori… Oggi abbiamo un’occasione per costruire qualcosa di diverso” .

 

papa Francesco

Udienza generale,19 agosto 2020

 

L’emergenza pandemica che ha segnato gli scorsi mesi, tutt’oggi fonte di preoccupazione, ha offerto e offre la possibilità di interrogarci su come si è affrontato questo tempo, che cosa si è imparato e che cosa si vorrebbe concretizzare di nuovo, anche entro le nostre Chiese. C’è all’orizzonte un’opportunità. Saremo in grado di non sprecarla? Avremo il coraggio di aprire un tempo inedito? Nell’ultima esortazione apostolica Querida Amazonia papa Francesco scrive di un “sogno ecclesiale”… e il nostro sogno qual è?

Non possiamo certo “accontentarci” delle Messe in streaming o dei nuovi youtuber  entro web diocesani che ci rendono più spettatori di quanto già non lo fossimo. Ministri “ordinati” che celebrano e i “non ordinati” che assistono, dinamica che il lockdown ha decisamente amplificato. C’è il rischio ancora una volta di essere “spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa”. Non è il caso, al contrario, di pensarci protagonisti di un mistero celebrato con forme che siano in grado di abitare questo tempo?

Dopo le “chiese chiuse”, non ci si può limitare a ben incarnare il ministero dell’accoglienza, contribuendo a gestire gli accessi contingentati. Dovremmo fare un passo maggiormente convinto verso la “Chiesa in uscita”, lavorando insieme per costruire “strutture di fraternità e sororità”. La cultura attiva della fraternità, scrive Ghislain Lafont, coincide con l’edificazione del Regno a cui tutti siamo chiamati, uscendo da concezioni spiritualiste disincarnate. La pandemia ci ha posti con forza di fronte al nostro limite creaturale, ricordandoci che la salvezza cristiana passa dalla carne. È un tempo del prendersi cura, del trovare una cura, noi quale apporto possiamo dare?

Lontani dalla retorica dell’andrà tutto bene e del tutto deve cambiare, dovremmo forse riscoprirci Chiesa senza le risposte, in cammino. Probabilmente sarà necessario abbandonare pure qualche prassi pastorale, accogliendo l’invito a partire per nuove “terre” senza ben sapere dove si andrà.  È tempo di uscire dalle nostre “comfort zone” e questo chiede l’impegno di tutti, le fatiche di tutti, in particolare nello stare vicini a coloro che il Covid-19 ha toccato nella carne.

Dovremmo ricordarci sempre che per molti la quarantena (e non solo) è stata una tempesta, non una vacanza. La pandemia ha amplificato disuguaglianze e discriminazioni che già c’erano (cfr. L’impatto della pandemia sulle donne, i dati di Eurofund; UNICEF e Save The Children: dalla pandemia rischio povertà per milioni di famiglie nel mondo – report maggio 2020). Siamo veramente consapevoli che la dignità di ogni uomo e donna ha serie implicazioni sociali, economiche e politiche?

Pace, giustizia, salvaguardia del creato, riconoscimento reciproco delle differenze diventano bando di prova del rapporto Chiesa-mondo. Rispondere con autosufficienza, rifiutarsi di ascoltare o rispettare le visioni degli altri non aiuta la fede, semmai accelera il processo di congedo dalla fede cristiana, purtroppo in atto in tutto l’Occidente (cf. C. Militello, Il sogno del Concilio, EDB, 2010).

Nel desiderio di una Chiesa che verrà e non di una Chiesa che c’era già, dovremmo continuare a farci interrogare, interagendo nei nostri organismi e fuori di essi con quella franchezza che è condizione per “la trasparenza della testimonianza ecclesiale” (cf. A. Grillo, La parrhesia (At 4.13) come condizione della tradizione ecclesiale”, pubblicato il 19/04/2020 entro il Blog “Come se non”).

Una trasparenza di cui ciascuna/o può farsi carico con il linguaggio di oggi, nel coraggio del confronto e anche del conflitto.

Monica Chilese

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