Charles de Foucauld: testimone e profeta di dialogo

21
Gen

In occasione del centenario della morte di Charles de Foucauld, avvenuta il I dicembre 1916, lo scorso 13 ottobre il Centro Culturale San Paolo e Presenza Donna hanno promosso una serata di presentazione del libro Charles de Foucauld. Esploratore e profeta di fraternità universale, scritto da fratel MichaelDavide Semeraro. Ponendo al centro dell’attenzione l’esperienza di questo “piccolo gigante” della vita spirituale, il monaco benedettino ha saputo rendere partecipe il lettore delle ragioni che lo hanno ispirato ad omaggiare la sua vita, fondata su un bisogno imperioso di conformità, di rassomiglianza e soprattutto di partecipazione a tutte le pene, a tutte le difficoltà, a tutte le durezze della vita.

Il libro non si propone come una biografia, ma vuole avvicinare i lettori al pensiero di fratel Charles, denso di un’esigenza di rinnovamento spirituale tuttora attuale. Scosso dall’estremo stato di povertà e oppressione dei popoli residenti vicino alla trappa in cui viveva ad Akbès, in Siria – condizione che gli era impossibile condividere e comprendere fino in fondo -, fratel Charles decise di abbandonare la sicurezza dell’esperienza monastica, prima per diventare domestico delle Clarisse, infine per fondare un centro di accoglienza ed un eremo nel deserto del Sahara: alla base della sua forte decisione vi era la difficoltà ad accettare una vita isolata, sapendo che fuori dal monastero sarebbe stato possibile trovare povertà, solitudine, abiezione, lavoro umilissimo, oscurità completa, ad imitazione di ciò che fu la vita di Gesù a Nazareth. Fratello che non riuscì mai a fondare una propria comunità, durante i lunghi anni di solitudine in Algeria elaborò una nuova forma di vita consacrata, allargando la capacità di comunione con il vicino popolo dei Tuareg e rafforzando l’interesse per la quotidianità del vissuto degli altri: lo scopo primo della sua missione non era l’evangelizzazione, ma la condivisione e l’apprendimento della lingua dell’altro, così da porsi sullo stesso piano, per vivere uno scambio sempre più reciproco ed autentico. Per fare del bene alle anime, bisogna poter parlare ad esse, e per parlare del buon Dio e delle cose interiori, bisogna saper bene una lingua: fratel Charles imparò a conoscere la ricchezza e la cultura di questo popolo, intuendo che sarebbe stato inutile cercare di ottenere delle conversioni rapide; comprese invece come il modo migliore per condurre una vita realmente evangelica consistesse nel preparare il terreno della conversione, attraverso la carità fraterna ed universale, che divide anche l’ultimo boccone di pane con qualsiasi povero, qualsiasi ospite, qualsiasi sconosciuto, ed accoglie qualsiasi essere umano come un fratello amatissimo.

In un contesto coloniale a lui favorevole, fu il primo ad “inventare” una condizione di assoluta vulnerabilità dedicata al dialogo per ascoltare; l’Islam rappresentava una grande sfida, perché lo esponeva al senso di minaccia che gli altri sentivano nei confronti della religione cristiana: il più gran bene da fare per i cristiani è di diventare l’amico del cuore, il confidente di ogni uomo, perché una volta stabilita l’amicizia si possa dare loro con frutto consigli, buoni pareri, fare del bene alle anime.

A cura di Arianna Bertuzzo

 

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