“Il Signore disse ad Abram: Vattene dalla tua terra…verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò…” (Gn 12,1-2).
Quante volte abbiamo letto o sentito queste righe della Genesi immaginando questo capotribù ormai anziano, 75 anni, che lascia il luogo in cui viveva e la sua parentela per obbedire alla parola di un Dio che gli promette una terra e una discendenza… Probabilmente tante, quante le volte in cui abbiamo scordato di immaginare che quella strada, quell’uscita dal proprio piccolo mondo, la fa con lui anche Sarai, sua moglie.
Sarai è la prima donna ‘pellegrina’ della Bibbia, la prima che fa della seconda parte della sua vita (aveva 65 anni all’epoca della ‘prima’ promessa) un continuo cammino alimentato dalle parole udite dal marito.
Era bellissima Sarai, nonostante gli anni, anche se il suo cuore era sicuramente molto triste perché il suo grembo non aveva mai ‘portato’ vita. Era sterile in un tempo in cui il non avere figli era considerato -per una donna- la maggior disgrazia, una vera maledizione degli dei.
Era così bella che quando, per sfuggire ad una carestia, erano dovuti andare in Egitto, Abramo aveva temuto per la sua vita a causa della bellezza della moglie: “Dì che sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua, e io viva grazie a te” (Gn 12,13).
Non sono riportate, nella Bibbia, le parole di Sara in risposta a quelle di Abramo; certo è che il grande padre della fede non fa, in questa occasione, una bella figura; mentre Sarai inizia ad essere ‘origine di vita’. Si può dare vita in tanti modi; lo si può fare anche acconsentendo a una proposta così imprevedibile da portarla nella reggia del faraone, come possibile concubina.
Abramo, per la sua salvezza personale, ‘abbandona’ Sarai a un destino che potrebbe essere ‘umiliante’ e definitivo. Dio invece no, Dio non si ‘dimentica’ di Sara, la ‘libera’ dal Faraone e comincia a rendere evidente che la sua promessa è fatta sì ad Abramo, ma “per mezzo” di Sara.
Quando lasciano l’Egitto c’è ancora cammino ad attendere Abramo e Sarai che ritornano verso Canaan, la terra promessa ma mai realmente ‘posseduta’, e piantano le loro tende alle Querce di Mamre.
Sono passati dieci anni dall’inizio di quel peregrinare e nel frattempo ad Abramo è stata rinnovata più volte la promessa, ma Sarai non vede possibilità al suo diventare madre: ha 75 anni e la promessa le è sempre arrivata tramite le parole di Abramo. Decide di intervenire, di dare ‘una mano’ a quel Dio così ‘lento’ nel realizzare ciò che aveva promesso, offrendo la sua schiava Agar ad Abramo e poter avere quindi un figlio tramite lei, secondo gli usi del tempo.
Nasce Ismaele, che Sarai non sentirà però come ‘suo’ figlio, anche se questa decisione ha permesso ad Abramo di assicurarsi ‘umanamente’ una discendenza.
Passano ancora molti anni prima che Dio si presenti, ancora una volta, ad Abramo rinnovando la promessa: questa volta, però, c’è una differenza, perché viene nominata espressamente Sarai, anzi la promessa è rivolta principalmente a lei: “Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei” (Gn 17,16). Dio cambia il nome di Sarai in Sara; il significato del nome, “princi-pessa”, non varia, ma quella lettera aggiunta può significare “un soffio”, “un’apertura” che rende possibile il ‘passaggio’ di una nuova ‘visione’. Come ogni volta che, nella Scrittura, Dio cambia il nome a qualcuno, è per l’inizio di una nuova vita, per una diversa consapevolezza.
Abramo, alle parole dei tre visitatori alle Quercie di Mamre, si prostra a terra e ‘ride’ pensando ‘all’im-possibilità’ che questa promessa si realizzi per un uomo di 100 anni e per sua moglie di 90! Anche Sara ride dentro di sé, all’ingresso della tenda, ascoltando ciò che i tre visitatori annunciano per lei: da lì a un anno, un figlio. Come non comprendere quella risata dentro di sé di Sara? L’ha sentita ripetere per anni quella promessa, vi si è aggrappata camminando per una vita ‘all’ombra’ di quella promessa: è stanca, Sara, vecchia; come credere ancora? Come affidarsi ancora ‘all’impossibile’?
Al ‘riso’ di Sara il Signore dà una risposta, alla sua umana difficoltà a credere ancora, dopo così tanti anni, il Signore propone una domanda che dà ‘respiro’, che rinnova la forza di credere: “C’è forse qualcosa di impossibile per il Signore?” (Gn 18,14a).
“Nulla è impossibile a Dio”, parole che nella bibbia vengono usate quando Dio chiama per realizzare il suo disegno d’amore; e finalmente il Signore dà anche un tempo ‘definito’, non più una promessa da accogliere e a cui fare spazio, ma un ‘patto’: “Al tempo fissato, tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio” (Gn 18,14b).
“Tornerò da te fra un anno”, in ebraico ‘nel tempo di vita’; la nascita del figlio è il Signore che visita nuovamente la vita di Sara e Abramo, è la promessa realizzata, il sogno di una intera esistenza che si avvera, il senso di tutto il pellegrinare da quando quella promessa era stata ascoltata per la prima volta; è la risposta al riso di Abramo e Sara: è Isacco il ‘sorriso di Dio’.
Il compimento della promessa di Dio non è però semplicemente l’avverarsi dei desideri più profondi di Abramo e Sara: la promessa di Dio riguarda tutta l’umanità ed è per questo che anche per Abramo questo nuovo ripetersi della promessa richiede una ‘conversione’: in fin dei conti il ‘problema’ per lui poteva dirsi risolto, c’era Ismaele, e invece il figlio tanto atteso nasce, cresce e Sara guarda con preoccupazione il legame e la presenza di Ismaele. Ha paura che, essendo lui il ‘primogenito’, possa prendere il posto di Isacco. Forse è solo la preoccupazione di una madre, ma Sara sembra rendersi conto che non è così che la ‘storia’ della sua tribù deve proseguire e chiede ad Abramo di allontanare Agar e suo figlio. Di fronte alle titubanze di Abramo Dio esprime una volontà molto chiara e netta: “…ascolta la voce di Sara in tutto quello che ti dice…” (Gn 21,12b).
Sara sta ancora ‘camminando’ in ascolto della promessa, nazioni e popoli nasceranno da lei e bisogna ‘fare spazio’ ad Isacco. Abramo ascolta Sara anche se, anni dopo, quando dopo l’aqedah, la legatura di Isacco, scenderà dal monte Moria, la Scrittura dice che si mette in cammino verso Bersabea dove abiterà, mentre non vengono nominati, con lui, Sara ed Isacco. Qualche versetto dopo si legge della morte di Sara: “morì a Kiriat-Arbà, cioè Ebron, nella terra di Canaan e Abramo venne a fare il lamento per Sara e piangerla” (Gn 23,2).
Per seppellire Sara, Abramo acquisterà il primo pezzo di terreno nella terra di Canaan: l’intera promessa di Dio ‘passa’ per il corpo di Sara, sia la discendenza che la terra. È il suo corpo che, come tanti altri corpi di donne nella bibbia, diventa ‘spazio’ dove si realizza la promessa.
Ora Sara è là dove il cammino di una vita l’ha portata: ha saputo accogliere ed attendere oltre ogni umana speranza la promessa di Dio, ha fatto tutto quello che era in suo potere per salvaguardare e custodire la ‘discenden-za’; ora tra le ‘braccia’ della seconda promessa, della terra di Canaan, può finalmente riposare.
Donatella Mottin