Antonia Pozzi

06
Ott

Quando la preghiera si fa poesia

Signore, tu lo vedi / ch’io non ho occhi più / per i tuoi cieli, per le nuvole tue / consolatrici.

Signore, per tutto il mio pianto,

ridammi una stilla di Te, ch’io riviva / Signore, tu lo sai / che in un tempo lontano / anch’io tenni nel cuore / tutto un lago, un gran lago, / specchio di Te. / Ma tutta l’acqua mi fu bevuta, / o Dio, / ed ora dentro il cuore / ho una caverna vuota, / cieca di te. / Signore, per tutto il mio pianto, / ridammi una stilla di Te, / ch’io riviva.

 

Antonia Pozzi scrive questi versi nel 1932. Ha solo vent’anni ma esprime già, con limpida delicatezza e vivide immagini, la sensibilità del suo animo gentile, profondo e tormentato. La vita sembra averle dato tutto: un ambiente ricco di stimoli culturali e sociali; un’agiatezza economica che permette a lei, giovane donna degli anni Trenta, di concedersi libertà, viaggi e frequentazioni precluse a tante coetanee; la possibilità di trascorrere lunghi periodi nelle amatissime montagne, che diventano confidenti predilette, specchio e riflesso del suo animo, così che la scalata diventa l’ascesa verso quell’altezza interiore a cui tende. Con una madre troppo impegnata in impegni mondani, Antonia matura un rapporto speciale col padre che la vede come suo “fiore all’occhiello”, figlia perfetta da cui non accetta delusioni, fino a contrastare in modo lacerante l’amore, ricambiato, della ragazza per un suo professore, ritenendolo non adatto alla sua elevata condizione sociale. Un rapporto soffocante che le tarpa le ali. Antonia cerca presto, attraverso l’insegnamento, l’autonomia economica per affrancarsi dalla famiglia. Un padre padrone anche dopo la scomparsa di Antonia a soli 26 anni, quando nel 1938 sceglierà di abbandonarsi all’abbraccio della morte. Il suo testamento spirituale sarà distrutto, molte lettere bruciate, censurate le sue poesie. Scriveva Antonia all’amico Vittorio Sereni, anch’egli destinato a divenire famoso poeta: “questo soprattutto è terribile: la mia assoluta inadattabilità alla vita pratica, il frantumarsi di tutta la mia unità di vita, quando mi si porti fuori dall’atmosfera irreale in cui m’ha cresciuta la solitudine. Ma io credo che una vera donna io non sarò mai, che anzi cercando malamente di esserlo, finirei col perdere la parte più vera e meno banale di me”. La poesia diventa così la via personale e libera verso la vera realizzazione di sé. In questi versi (che lei titola Preghiera) rivolge al Signore il discernimento per poter ancora farsi accarezzare dalle “nuvole consolatrici”, per poter in qualche modo riempire quel gran lago dell’anima di cui “tutta l’acqua mi fu bevuta”, per poter attingere ancora alla divina fonte risanatrice. Quel discernimento che l’amore tossico del padre non ha saputo avere nei suoi confronti. E la preghiera si fa supplica e singhiozzo: “Signore per tutto il mio pianto / ridammi una stilla di Te, / ch’io riviva”.

Chiara Magaraggia