Una lettera di Madre Giovanna restituisce il suo amore per la vita comunitaria: “da trent’anni forma l’unico sospiro del mio cuore”
“Care e amate sorelle.
Vi mando i bollettini per il mese che sta per cominciare. Vi ho scritto le cose principali, il resto lo farete Voi.
Vi domando perdono del poco buon esempio che ricavate da me povera e miserabile creatura: sono proprio piena di magagne, non ho un filo di virtù. Pregate perché il buon Gesù abbia misericordia dell’anima mia e mi conceda la grazia di passare il mese di giugno santamente, cominciando a servirLo secondo la sua adorabile volontà, che consiste sempre nel sacrificare la mia.
Inoltre vi prego specialmente per le gocce che scorrono dalla ferita del Cuore dolcissimo di Gesù, di volervi bene, di trattarvi con grandissima Carità, di considerarvi tutte come Spose di Gesù, di compatirvi, d’aiutarvi a correggere i vostri difetti scambievolmente, onde essere forti e costanti nella via incominciata.
Ci sovvenga sempre che ciò che ci guadagnerà la bella grazia che aspiriamo non saranno le gioie, né le soddisfazioni, ma bensì le croci e le amarezze. Gesù Crocefisso adunque e a sua imitazione niente ci turbi e ci sgomenti.
Abbiatevi intanto un saluto che vi dica il bene che vi voglio e il desiderio ardente che ho di vedervi fornite di quelle virtù che vi rendono belle e care allo Sposo divino.
Aff.ma vostra Giovanna”
Quale valore avesse la comunità per Giovanna, lo dichiara lei stessa nel 1912 (cinque anni dopo la fondazione): “da trent’anni forma l’unico sospiro del mio cuore”. Una passione, dunque, sorta in lei giovanissima fin dai segni iniziali della sua vocazione.
La comunione, sigillo inconfondibile delle opere di Dio, è anzitutto un fatto interiore, una nostalgia dell’unione in Cristo suscitata dallo Spirito. L’amore divino si è imposto progressivamente nel cuore di Giovanna come priorità e come fine, come orizzonte che si fa stile: Tutto e solo per amore di Dio. La comunione chiede di farsi esperienza concreta in una comunità.
Nessuna maternità è indolore, così Giovanna per dare vita alla nuova comunità di Orsoline ha sofferto le doglie del parto, in un lunghissimo e continuo travaglio. Le circostanze l’hanno costretta a preparare la fondazione di nascosto, a guidare il primo nucleo dall’esterno nei primi tre anni, a sostenere la crescita della comunità tra enormi difficoltà (la povertà, la guerra, la mancanza di un riconoscimento ecclesiale ufficiale…).
Giovanna scrive diverse volte alla comunità, sia quando deve abitare in un’altra casa, sia quando soggiorna fuori da Breganze; scrive per comunicare in merito a faccende pratiche, ma soprattutto per coltivare la fraternità, l’affetto, la sintonia spirituale, lo slancio apostolico. Le notizie, le informazioni, le indicazioni operative (spesso sotto forma di consigli) sono arricchite da uno sguardo di fede che riporta ogni cosa al suo senso più profondo e infonde fiducia. La cura delle cose concrete è strumento di comunione a servizio del bene.
Alla comunità Giovanna si rivolge come sorella, prima che come madre; nella sua umiltà non teme di riconoscere le proprie fragilità e il bisogno di conversione. Anche la comunità non è mai realizzata una volta per tutte, ma sempre in costruzione: la fraternità umana generata in Caino e Abele è segnata da una ferita che esige continuamente riconciliazione. La comunione sgorga dal cuore trafitto di Gesù e va attinta a gocce, è un dono dello Spirito da invocare e perseguire nei dettagli della quotidianità.
Giovanna implora le sorelle di pregare per la sua conversione e di sostenersi reciprocamente nella via incominciata; nessuna si salva da sola: occorre volersi bene, trattare le altre con grandissima carità, considerare tutte come spose di Gesù, compatirle, aiutarsi scambievolmente a correggere i difetti, per essere forti e costanti. Lo Spirito intesse la comunità grazie al contributo di ognuna: la comunità che sogno non è quella che trovo, ma quella per la quale mi spendo radicalmente. Giovanna testimonia in prima persona il desiderio di vivere santamente nella ricerca costante e nell’adesione all’adorabile volontà di Dio, ben sapendo che comporta una rinuncia a sé. La contemplazione amorosa di Gesù crocifisso ci libera da quell’insano attaccamento a noi stessi che impedisce di donarsi. L’amore conduce ad attraversare il mistero pasquale che le “spose di Gesù” assumono visibilmente nell’esperienza comunitaria, annunciando così la presenza del Risorto in mezzo a loro pur tra tante tribolazioni.
Giovanna conoscendo le dinamiche umane, tentate dall’egoismo e dalla divisione, si preoccupa di mantenere, tra le sorelle, quel clima spirituale e affettivo che alimenta la carità: condividere la prospettiva ampia del Vangelo e la meta della santità impedisce alla comunità di frammentarsi e di ripiegarsi su se stessa, e la rende testimone credibile dell’amore. La santità comunitaria ha ancora molto da dire in quest’epoca di drammatica solitudine e povertà relazionale.
sr. Maria Coccia