Il tempo “orientato” vissuto da Madre Giovanna e dalla prima comunità
“Abbi di mira la gloria di Dio, non perdere un minuto che non sia a Lui consacrato e vivi felice nelle Sue mani!” raccomandava Giovanna Meneghini alla compagna di fondazione Angela. Ancora adolescente, Giovanna ha un’intuizione: “mi fece impressione il pensare che anch’io un giorno dovevo morire”. “Il tempo si è fatto breve” (1Cor 7,29), scriveva san Paolo agli abitanti di Corinto, indicandoci l’acquisizione di una consapevolezza alla quale tutti (credenti e non) dovremmo approdare. Questo passaggio esistenziale offre l’opportunità – come ha suggerito Papa Francesco, pregando per la fine della pandemia – “di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita”.
La scoperta del tempo come bene prezioso e limitato, per la fragilità delle cose del mondo, sollecita la dodicenne Giovanna a chiedere con fede la grazia di “cominciare una vita nuova”; è il primo passo del cambiamento, perché la preghiera, innaffiando “un po’ alla volta” la sua anima, le schiude il cuore a un “amore speciale” per il Signore e le dona una meta, uno scopo, un orizzonte che amplificherà la sua pur breve vita terrena. Per non perdere tempo è importante dargli un orientamento, una direzione, una prospettiva: avere una meta significativa ci libera dalla paura dello scorrere del tempo. “La vita non è tempo che passa [e in qualche modo si esaurisce, come evoca drammaticamente l’immagine della clessidra], ma tempo di incontro” (papa Francesco): le relazioni trasformano il chronos in kairos.
Se Dio, che permea l’eternità, in Cristo ha scelto di raggiungerci attraversando il tempo umano, dobbiamo averne cura anzitutto rileggendo la nostra storia per individuare i segni della presenza divina. Un sacerdote sollecita Giovanna a scrivere la propria storia: narrando i passaggi salienti di un’esistenza fortemente tribolata, lei riconosce però sempre “la mano della divina Provvidenza” e si allena a scorgere nel “complesso delle cose […] la mano di Dio che conduce tutto”.
Giovanna lamenta spesso di non avere tempo – come noi oggi –, di non essere libera nel gestire il quotidiano, soprattutto perché deve sottostare ai pesanti condizionamenti lavorativi che di volta in volta i datori le impongono. Avere cura del tempo consente di oltrepassarne i limiti, dilatandolo non solo in profondità, ma anche in estensione e apre vie di futuro donando agli eventi una risonanza potenzialmente sconfinata.
Avere cura del tempo comporta anzitutto ritmarlo, regolarlo, darsi degli orari di massima, assicurando tempo a ciò che conta, per non vivere a casaccio, ma dare un orientamento e prospettare qualità alla giornata. Giovanna si alzava alle 4.30; appena svegliata, il suo primo pensiero, volava a Gesù “per ringraziarlo della buona notte” che le aveva concesso. Da quel momento, fino alle 21.30/45 (ora in cui si coricava), l’intensissima giornata era scandita dalla preghiera in ogni spazio consentito dalle pur molte attività. La preghiera è una priorità per Giovanna, ma il suo desiderio di dedicare degli spazi interamente al Signore talvolta deve sottomettersi alle necessità che la vita presenta. Tempo prezioso da custodire è anche quello per la lettura spirituale, nutrimento dell’anima.
“Non perdere un minuto…” perché il momento presente, per quanto breve e insufficiente ci appaia, è luogo di esercizio del nostro potere, della nostra libertà. Possiamo decidere di donarlo, di offrirlo. Ci è chiesto di amare minuto per minuto, in ogni circostanza e occasione seppure imprevista o inedita. Giovanna sa dare valore al tempo ascoltando le persone che si rivolgono a lei per cercare aiuto materiale o spirituale. L’ascolto accogliente qualifica e rende fecondo il tempo, perché l’altro nelle sue parole ci consegna se stesso. “Non è una questione di quantità, ma che l’altro senta che il mio tempo è suo: il tempo di cui ha bisogno per esprimermi ciò che vuole” (papa Francesco).
Tra i tempi umani e i tempi divini permane una distanza che spesso non comprendiamo e sfida la nostra pazienza. Giovanna ha dovuto attendere tre anni per andare a vivere nella comunità che con tanto sacrificio aveva fondato. La comunità stessa (pur essendo apprezzata e suscitando nuove vocazioni) ha ottenuto il riconoscimento istituzionale della Chiesa dopo ben trentasette anni dalla fondazione, e non si è arresa allo scioglimento che le era stato ingiunto. Attendere, perseverare nella fedeltà al Signore, ha dato continuità alla storia di salvezza che Dio aveva ispirato e affidato alle cure di Madre Giovanna.
sr. Maria Coccia