Uno smisurato amore

10
Gen

La lavanda dei piedi e l’unzione di Betania, gesti d’amore dal Vangelo di Giovanni

Ogni domenica noi cristiani facciamo memoria dell’ultima cena ripetendo i gesti di Gesù rispetto al pane e al vino, corpo e sangue di Cristo. Lo facciamo rispettando ciò che lui stesso aveva detto ai suoi: “Fate questo in memoria di me”. Ricordiamo, ripetendola invece solo una volta all’anno, la lavanda dei piedi, presente nel Vangelo di Giovanni, unico evangelista che, per rivelare l’amore di Gesù, non racconta lo spezzare del pane ma questo gesto così particolare. Eppure, anche in questo caso Gesù affida ai suoi un compito ben preciso: “Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15). Forse le comunità cristiane hanno fatto fatica ad accogliere e a comprendere fino in fondo l’inaudita novità di questo gesto di Gesù; la stessa fatica di Pietro, che si oppone con forza di fronte a qualcosa che lo sconvolgeva come credente nel Dio del suo popolo.

Giovanni racconta in modo molto dettagliato tutta la scena, soffermandosi su vari particolari. Già l’introduzione suona significativa: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine(13,1b) e questo non per indicare un termine relativo al tempo, la fine dell’esperienza terrena di Gesù, quanto piuttosto per rivelarne la pienezza, il compimento. Gli ultimi giorni della vita di Gesù sono conseguenza di tutta la sua esistenza; i gesti di quella cena permettono di cogliere i significati di tutto l’insieme delle parole e delle azioni di Gesù: non è la fine, ma il fine; una vita che si fa dono per poter dare origine a vita nuova. Gesù si alza da tavola e depone le vesti, che nel mondo biblico rappresentano simbolicamente la dignità e la funzione di una persona. Si spoglia del suo essere maestro e Signore, indossa un grembiule, segno invece del servizio, e lava i piedi dei suoi discepoli.

Il gesto compiuto da Gesù è il gesto che spettava allo schiavo: i piedi, soprattutto in relazione al fatto che a quel tempo si camminava quasi sempre scalzi, venivano considerati la parte più impura dell’uomo. D’altra parte, già nella sua vita Gesù aveva dimostrato più volte di non riconoscere la categoria di puro e impuro com’era fossilizzata a quel tempo; niente dell’umanità aveva per Gesù la caratteristica dell’impurità: mangiava con i peccatori, si lasciava toccare dalle donne considerate peccatrici o impure, discuteva con uomini e donne stranieri… di alcune e alcuni aveva lodato la fede portandoli ad esempio per lo stesso popolo d’Israele.

L’impurità non fa parte della vita di nessun essere per il quale Gesù dona la sua di vita. Logico che Pietro, da buon ebreo, non voglia accettare questo gesto; logico che quel “anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” abbia avuto poco successo, privilegiando la memoria dello spezzare il pane diventato purtroppo, per alcuni, addirittura gesto di privilegio. Eppure solo lasciandosi lavare i piedi da lui e lavandoli ai fratelli e alle sorelle, si può aver parte di Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” (13,8b).

C’è anche un altro particolare, che probabilmente andrebbe meditato e approfondito ulteriormente: Gesù lava i piedi anche a Giuda. Giovanni ricorda fin dall’inizio del racconto che Giuda non solo c’era, ma aveva già nel cuore l’intento di tradire il suo Signore. Gesù ha vissuto l’incomprensione, il tradimento, l’abbandono, senza mai venir meno all’amore. Se riuscissimo davvero a capire ed accettare di essere amati senza pensare che dobbiamo meritarcelo, forse riusciremmo a sperimentare che la misura dell’amore di Gesù è questo amare senza misura, che va sempre oltre. Probabilmente riusciremmo anche noi, allora, a compiere quel gesto di curvarci sui piedi di chiunque, perché nessuno deve meritare il nostro amore.  È lo scandalo di questo gesto che, se anche non viene più nominato nelle Scritture, ha un precedente nell’unzione di Betania, raccontata da Giovanni nel capitolo precedente a quello della lavanda dei piedi.

Betania è un bel nome, significa “casa del povero” e in questa cittadina Gesù si è fermato più volte in casa degli amici Marta, Maria, Lazzaro, Simone il lebbroso…

Qui Gesù si trovava per una cena, sei giorni prima di Pasqua. Mentre stavano cenando, Maria prese del profumo di puro nardo, ne cosparse i piedi di Gesù asciugandoli, poi, con i suoi capelli. L’elemento che assume un grande rilievo nel racconto è la sovrabbondanza, anzi potremmo dire lo spreco. L’unguento usato è molto prezioso e il valore, che Giovanni sottolinea indicando la quantità – trecento grammi – equivaleva a quasi un anno di salario di un lavoratore del tempo. “Sensate”, dunque, le parole di Giuda che riflettevano, molto probabilmente, il pensiero di tutti i presenti: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?” (12,5).

Nel bel libro di Sandro Gallazzi e Anna Maria Rizzante La teologia delle donne alle quali Dio ha rivelato i suoi misteri, gli autori scrivono: “Ci sono due modi di rapportarsi ai poveri che avremo sempre con noi: cercare qualche ricco che possa comprare il nostro profumo o utilizzare il nostro profumo per «ungere» i poveri”.

Maria non solo ha unto i piedi di Gesù, ma asciugandoli coi suoi capelli ha assunto su di sé lo stesso profumo, che ha poi riempito tutto il luogo in cui si trovavano. Pochi giorni dopo, Gesù riprenderà quell’azione di lavare i piedi, affermando che solo assumendo e ripetendo questo gesto si ha parte con lui. Allora anche noi dobbiamo imparare a curvarci sui corpi spezzati e il sangue versato dagli uomini e dalle donne della nostra storia: per lavarci i piedi gli uni con gli altri come Gesù ci ha detto di fare, per affermare così che nulla nell’essere umano è impuro, per offrire il nostro profumo più prezioso, per farci inondare da esso, lasciando che possa diffondersi.

A leggere i due testi del Vangelo sembra quasi che, ripetendolo almeno in parte, Gesù abbia riconosciuto nel gesto di Maria il segno di un amore smisurato, che non calcola costi/benefici, che ama e basta, che vuole portare con sé il profumo dell’amato in una comunione che è davvero un “far parte” con lui.

Donatella Mottin

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