Sono davvero le corse quotidiane a farci male o il problema è “come” corriamo?
Correre non mi piace. Non mi è mai piaciuto. Anche solo come attività sportiva, la corsa non mi ha mai attirata. Eppure corro ogni giorno. E all’interno di ogni giornata corro ogni ora, ogni minuto. Se non sono le mie gambe a dover correre, a correre ci pensano le ruote della macchina. Ma anche, semplicemente, la mente, gli occhi e, a volte, anche il cuore.
Ogni giornata è una continua corsa contro il tempo, perché ormai anche il tempo di una giornata non basta più: ci sono così tante cose da infilare dentro che, alla fine, ci si affatica più a trovare spazio per tutto che a correre. Poi, quando qualcuno dice “ci vorrebbero le giornate di 48 ore” scatta pure il panico, perché se mai fosse così… non avremmo più scuse: dovremmo aggiungere ancora altre cose a quelle tante che già ci sono. E non finiremmo più.
La corsa quotidiana ci rende un giorno alla volta un po’ meno umani. Correndo in continuazione ci viene, di fatto, tolta la possibilità di rallentare e di guardarci intorno. La tanta (troppa) tecnologia a disposizione, se da un lato semplifica la vita su un sacco di operazioni, dall’altro raffredda tremendamente ogni relazione. Viviamo in corsa perennemente online: messaggi, posta, chat, app, social ecc. e siamo sempre meno “on-face”. E per stare dietro a tutto l’online (anche la vita online richiede un sacco di tempo!) corriamo ancora più veloci.
Tutto questo correre provoca una sola cosa: lo stress. E provando a fare un po’ di brainstorming mi è venuta voglia di fare un esperimento. Ho provato a cercare su Google la parola “stress”: l’algoritmo restituisce “Circa 1.770.000.000 risultati”. Poi ho provato con “corsa”: l’algoritmo restituisce “Circa 186.000.000 risultati”. Infine ho provato con “correre”: “circa 13.900.000”. Interessante. Anche per Google corriamo meno di quanto riusciamo ad essere stressati!
Allora mi sorge una domanda: è davvero il correre che ci fa male? O è il come corriamo ad essere il vero problema?
Andando a curiosare nel mondo dei podisti mi rendo conto che per correre bene (senza stress fisici) è bene avere le scarpe giuste: bisogna trovare quelle più adatte al proprio piede, tenendo conto delle caratteristiche fisiche e posturali. Se si vuole correre bene, poi, bisogna allenarsi. Se si vuole correre bene, infine, bisogna non avere fretta di arrivare. Insomma, darsi tempo.
Andando a mettere il naso nel mondo delle auto da corsa, poi, colgo quanto sia fondamentale il lavoro di squadra per correre bene e, possibilmente, raggiungere un risultato: i meccanici, gli ingegneri, quelli che decidono la strategia di gara, l’allenamento e la precisione del pilota, gli sponsor, ecc. Chi guida una Ferrari (per fare un esempio che profumi di casa nostra) è solo l’ultimo anello di una lunga catena di persone: una vittoria, un’uscita di strada, un sorpasso ben piazzato sono in realtà il risultato di un lavoro di gruppo che mette in campo il meglio in ogni ambito. E anche qui, bisogna darsi tempo.
Provando, poi, ad ascoltare persone che stanno facendo dono della propria vita e dei propri talenti, grazie alla fede in Gesù (e nell’ultimo periodo mi è capitato più volte), posso dire con certezza che anche loro corrono. Anzi, forse corrono ancora di più. Corrono perché quando il Signore chiama e la risposta è un “sì” senza condizioni, la sua grazia diventa un carburante eccezionale. Non è più la persona a dettare i ritmi della corsa e dello stress assicurato. Ma è il Signore ad indicare la via e a chiamare continuamente per andare “altrove”, all’“altra riva”, come faceva sempre lui con i suoi discepoli, invitando a non fermarsi né soffermarsi, ma ad andare e andare ancora, perché l’annuncio possa arrivare anche negli altri villaggi. Perché un “sì” detto senza condizioni non è un modo per fermarsi in una comfort zone per tutto il resto della vita, ma, al contrario, è un continuo andare, lì dove il Signore chiama.
E allora qual è l’ingrediente necessario a darsi tempo anche nel correre di ogni giorno? Mi sembra di poter cogliere la risposta più appropriata in una parola sola: amore. Mettere amore in ogni cosa. Così come dice san Paolo in quella meravigliosa pagina che è l’inno alla carità nella sua lettera ai Corinzi, possiamo mettere in campo mille risorse, mille capacità, doni ineguagliabili… ma senza carità (senza amore, quindi) non siamo nulla. E anche il nostro correre, per quanto veloce, tecnicamente efficace e strategicamente efficiente, senza amore dentro non ci porta da nessuna parte, se non dritti dritti allo stress e lontano dal cuore di chi dovremmo incontrare come mèta della nostra corsa e, soprattutto, lontano dal cuore del Maestro che, per primo, ama senza misura e desidera ardentemente stare con noi.
Ma allora bisogna correre o stare? Direi entrambe le cose allo stesso tempo. Per il Maestro nel “correre” c’era comunque lo spazio per “stare” (con il Padre, con i discepoli), perché ogni sua azione scaturiva da una profonda contemplazione e dall’incessante preghiera. Esiste un modo per essere contempl-attivi (espressione cara a don Tonino Bello, ripresa anche da papa Francesco) nel nostro correre quotidiano, cercando il perfetto connubio tra estasi ed azione. Tutto ciò che mette radici nelle parole del Maestro non potrà che essere allo stesso tempo contemplazione ed opera concreta. E forse sta qui il segreto per dare unità al nostro vivere: smettere di essere un insieme di pezzi scomposti in corsa contro un tempo che non ci basta mai, per vivere, invece, come figli. Figli totalmente amati ed invitati a nostra volta ad amare. Ogni cosa.
Correre non mi piace. Non mi è mai piaciuto. Ma correre per amore, davvero, è tutta un’altra storia.
FOTOGRAMMI
Un racconto di Luisa Pozzar
Fotogrammi di vita, attimi sospesi nel vuoto. Sarà capitato a tutti. Viviamo le nostre giornate, più o meno di corsa, in un susseguirsi di piccoli episodi, situazioni, momenti diversi e apparentemente non collegati, dando per scontate un sacco di cose: l’affetto dei nostri cari e la loro presenza accanto a noi; la premura di una persona amica, il sorriso e la risata dei nostri bambini; la vista mozzafiato di un panorama, lo spettacolo di un temporale estivo…
Viviamo tutto questo, inconsapevoli della ricchezza che vi si cela. E – a me capita spesso – per millesimi di secondo ci troviamo a fermare il tempo e l’immagine di ciò che stiamo vivendo, a “fotografarla” mentalmente e a chiederci: «E se tutto questo finisse ora?».
Per quanto ci abbia provato, a questa domanda non ho trovato risposte. Forse perché umanamente non esistono. L’unica che sento di dare a me stessa è: vivi ogni istante con gratitudine. A volte ci riesco, a volte no. Ma quando mi metto in questo atteggiamento – soprattutto interiore – come se il tempo rallentasse… e il senso del “gusto di vivere” potesse finalmente funzionare a regime. Un attimo raddoppia, ogni esperienza acquista un sapore unico, il tempo che ancora mi resta da vivere diventa meno importante, perché assaporo, finalmente, il presente.
E se in questo presente così pulsante riesco a cogliere qualche fiore di bene, con delicatezza lo ripongo in uno scrigno, lontano da occhi indiscreti. So che lì potrò trovarlo in ogni momento bello o triste. Per accarezzarlo, per odorarlo. Per dirmi ancora una volta che, di fronte a qualunque prova, vale sempre la pena di vivere.
Luisa Pozzar
Luisa Pozzar, triestina di nascita, moglie, madre di tre figli, giornalista. Da sempre coltiva la sua passione per la musica, la lettura e la scrittura e per tutto ciò che le permette di esprimere la propria creatività. Dopo la laurea in economia e commercio, nel 1999, volta pagina ed inizia a lavorare nel mondo della comunicazione religiosa. Percorso, questo, coronato nel 2011 con il conseguimento della qualifica professionale. La scrittura, per lei, si rivela non solo un mezzo di lavoro, ma soprattutto un modo per incontrare persone e raccontare storie. Il suo ultimo colpo di fulmine è la radio: un connubio perfetto tra scrittura e voce, per una comunicazione discreta ma efficace. Collabora con il quotidiano Avvenire, con i settimanali Credere, Famiglia Cristiana, Maria con te, Città Nuova online e con i mensili Jesus e Madre, testate giornalistiche per le quali scrive di temi religiosi e sociali. Scrive anche sul sito dell’Ucsi. Coltiva il sogno di poter lavorare con le buone notizie. E, ogni tanto, ci riesce.
Dopo la pubblicazione del volume Con gli occhi di Rezarta nato in collaborazione con il Battello Stampatore, nel gennaio 2015 l’autrice ha voluto avviare con amici di diversa estrazione e formazione – ma accomunati dal credere che esista uno “strumento” di osservazione della realtà che permette di scorgere nelle pieghe della vita quotidiana la “polvere di Vangelo” che vi si cela – la pubblicazione di scritti su diversi temi d’attualità nel blog “Il MAGIScopio – quando il meglio è (anche) questione di occhio”.