Sotto il mantello di Orsola

15
Lug

La storia di sant’Orsola, raccontata in prima persona e attraverso le opera d’arte a lei dedicate

Ancora adesso mi sto chiedendo come tutto ciò sia potuto avvenire. Eppure molti conoscono la mia giovinezza, i miei lineamenti delicati, i miei capelli biondi. Sono tanti gli artisti che hanno dipinto il mio viso e hanno dato un volto al re mio padre, alla mamma, alle amiche che sempre sono state con me, al dolce Ereo, con cui volevo costruire il mio futuro. Mi hanno detto che l’arte ha il potere di rendere immortale, una specie di bacchetta magica capace di dare vita eterna anche a chi la vita l’ha solo potuta sfiorare, lasciando una traccia per poco, troppo poco tempo. Sì, a me è successo proprio così e devo ringraziare i sommi artisti che da quella lieve traccia sono partiti e, illuminando coi loro colori tele, scrigni e pareti, mi hanno tratto dall’incerto confine in cui la storia sfiora la leggenda e il tempo nell’eternità. E ringrazio un frate domenicano, Iacopo da Varazze, che con la sua penna, in pieno Medioevo, ha dato memoria alle vicende della mia vita e della mia morte. Mi hanno trasformato in una stella luminosa, piccola ma capace di rischiarare le vite di molti. L’immagine che forse mi emoziona di più è quella in cui, sullo sfondo di una vetrata che sembra incoronarmi, con l’abito bianco e un sottile diadema sui miei riccioli lunghi e intrecciati, spalanco il mio mantello scarlatto per dare rifugio a tante donne che chiedono conforto e protezione. Come solo le regine nei secoli passati potevano fare. E, soprattutto, come fin dal Medioevo è stata rappresentata lei, Maria, la Madre di Misericordia. Sì, voglio partire proprio dagli artisti e, attraverso i pennelli di Tommaso da Modena, del fiammingo Hans Memling, del veneziano Carpaccio e del sommo Caravaggio, raccontare la mia storia e cercare una risposta ai perché che ancora mi sfuggono.

Il mio nome è Orsola, figlia del re cristiano di una terra, la Bretagna, che ha donato al mondo le più belle storie d’amore e di cavalleria; sono vissuta in anni lontani e incerti, quando l’Europa era percorsa da continue ondate di eserciti dediti alla violenza e al saccheggio, quando le istituzioni, le leggi e le norme del vivere civile sembravano morte per sempre. La potenza della Roma imperiale era ormai spenta e la Città eterna si stringeva intorno all’autorità del papa, guida di un cristianesimo ancora giovane e custode delle tombe e delle reliquie di Pietro e di Paolo. Il mio desiderio più forte era proprio questo: poter visitare quei luoghi sacri, a dispetto dei pericoli dati non solo dall’epoca buia, ma dal mio essere una giovane donna che voleva realizzare il suo sogno con la sola compagnia delle sue tante amiche. Il matrimonio non rientrava nel mio futuro, perché avrei preferito consacrare a Dio la mia vita. I progetti dei miei regali genitori erano naturalmente ben altri. E non erano, quelli, tempi in cui fosse tanto semplice, soprattutto per una donna, ribellarsi al volere paterno! Per sancire un’alleanza fra due regni separati solo dal canale della Manica, gli ambasciatori del sovrano d’Inghilterra arrivarono alla corte di Bretagna, chiedendo solennemente al re la mia mano: avrei dovuto sposare l’erede al trono inglese. Con quale sfarzo di costumi, con quale profusione di belle maniere il pittore Carpaccio ha descritto questo momento! Il freddo mare nordico si trasforma per magia nei canali della laguna, con gondole, velieri, stendardi svolazzanti, viaggiatori e mercanti di ogni provenienza! Per quanto legata da profondo affetto a mio padre, non intendo mostrarmi passiva: accetterò di sposare il principe Ereo, ma solo se si farà battezzare e solo dopo che avrò effettuato il mio pellegrinaggio a Roma. Può sembrare strano, ma le mie condizioni sono accettate. Quella notte stessa un sogno apre uno spiraglio sul mio futuro. Le tenebre stanno per essere messe in fuga dalla luce ed è a quest’ora, dicono, che i sogni sono più veritieri. Com’è dolce ricordare la mia cameretta con le travature in legno, con il mio fedele cagnolino bianco, le amate piantine alla finestra, il letto a baldacchino, il piccolo tavolo coperto da una tovaglia rossa dove amavo leggere e scrivere! Sto dormendo serena con il viso appoggiato su una mano ed ecco, un raggio di luce improvvisamente illumina il mio viso. Chissà se l’ho visto davvero! Un angelo in veste azzurra mi offre un ramo verde: è la palma, simbolo del martirio. Non so ancora bene cosa significhi, ma, sia pure in sogno, anch’io pronuncio il mio sì all’angelo. I preparativi per il pellegrinaggio si svolgono in fretta: diranno poi che sono state undicimila le donne che mi seguirono; voglio ricordare almeno Babilla, Giuliana, Vittoria, Aurea e la carissima zia Gerasina. Il distacco da mia madre è il momento più straziante: non ci stacchiamo più dall’abbraccio, perché… non so, è come se l’abbracciassi per l’ultima volta. È questo che voleva dirmi l’angelo? Tommaso da Modena, pittore del Trecento seguace di Giotto, ha colto con sensibilità la corrente d’affetto dei nostri sguardi, l’eloquenza silenziosa di ciò che non viene detto, ma vissuto nel profondo del nostro cuore, il sorriso che vuole nascondere gli occhi velati di lacrime. La nave è pronta, il porto pullula di gente, è un fermento di saluti, di baci, di raccomandazioni e intanto i marinai alzano le vele. Stiamo salpando per l’Inghilterra. Il cuore mi batte forte. La navigazione procede tranquilla e, attraversata la Manica, vedo la costa inglese avvicinarsi. Mio Dio, che emozione incontrare il principe Ereo! Mi viene incontro con la sua nave, ai miei piedi vengono stesi i tappeti più preziosi; si inchina davanti a me, mi guarda negli occhi. È biondo, bello, di aspetto gentile… è impossibile non innamorarci subito l’una dell’altro! I due regali che mi offre mi rendono immensamente felice: rivivo spesso il momento in cui si toglie le vesti emozionato, circondato dagli amici fidati, inginocchiato davanti al vescovo che lo sta battezzando. E, subito dopo, chiede di poter essere accanto a me nel viaggio verso Roma. Dalle foci del Reno, navigando il grande fiume e poi per via di terra… il viaggio è lungo, ma non sento più la fatica, spinta dall’amore, quello divino e quello terreno, che in me armoniosamente si fondono. Ecco Roma, riconosco la mole poderosa e imprendibile della Mole Adriana. Il corteo ci viene incontro in tutto il suo sfarzo: vescovi e cardinali dai mantelli damascati e dai cappelli appuntiti scortano il baldacchino sotto cui avanza il pontefice Ciriaco benedicente, con il capo coperto dalla tiara. Io, il mio principe e le tante fanciulle che mi seguono ci inginocchiamo, non trattenendo la commozione. Tutti i miei desideri sono stati esauditi. Era questo, dunque, il messaggio dell’angelo? Un’ulteriore sorpresa ci attende al momento della partenza sulla via del ritorno: anche il papa decide di viaggiare con noi, vuole trasformarsi lui stesso in apostolo della fede, risalire il fiume Reno, per convertire le città in cui il messaggio evangelico non è ancora stato portato e, tornati in Bretagna, benedire proprio lui le mie nozze con Ereo. Conscio, però, dei rischi, nello sconcerto generale, con una decisione clamorosa rinuncia alla tiara papale. Dopo di lui, mi dicono, solo due altri pontefici compiranno lo stesso gesto. Il viaggio è gioioso, la nave sembra volare sulle acque del grande fiume. Da lontano spuntano le mura e le torri di una grande città: stiamo approdando a Colonia. Mi colpisce la mancanza della frenesia che anima ogni porto all’arrivo di una nave… vedo solo uomini armati di tutto punto, perfino dalle torri spuntano armi e guerrieri. Nonostante tutto, noi vogliamo sbarcare.

Il resto è tragedia, la tragedia di me, Orsola, di Ereo e delle mie undicimila compagne. Colonia è stata assediata e conquistata dagli Unni, comandati, si sussurra, da un giovane spietato condottiero di nome Attila. Il massacro comincia subito: prima ancora che noi mettiamo piede a terra, le imbarcazioni vengono assalite… a una a una vedo le mie compagne afferrate, buttate a terra, uccise senza pietà. Ereo si slancia in nostra difesa… Dio mio, no! È trafitto mentre cerca di coprirmi dall’assalto di Attila. Allora chiedo misericordia, non per me, ma per le mie compagne che, inginocchiate, si preparano a morire. Sono attimi lunghi e brevissimi insieme. Tutto è rallentato e insieme accelerato. Così mi ha dipinto Caravaggio nei primi anni del 1600 in quello che è stato il suo ultimo quadro, il suo testamento artistico… e ha scelto me. Tutto il fragore sembra improvvisamente sparire. Il condottiero unno sospende per un momento il massacro: la mia vita sarà salva se io accetterò di essere sua. La mia pelle luminosa e il rosso del mio mantello rompono il buio che mi circonda, interrompono il bagliore delle armature… il buio dell’orrore e del Male. Il mio rifiuto è deciso e senza appello. Una freccia, lanciata da Attila stesso, mi colpisce al centro del petto… rapidissima e precisa. Il mio sguardo si ferma, quasi meravigliato dalla piccola macchia di sangue che si apre sull’abito bianco. Mentre gli occhi si stanno spegnendo, mi sembra di scorgere, là in fondo, il sorriso dell’angelo azzurrino che, porgendomi la palma, mi indica qualcosa: è come se vedessi, lungo una scia che si perde nell’orizzonte, una fila di donne che guardano verso di me, che mi seguono. Per ogni amica uccisa, un’altra donna diventa mia compagna. Le amiche di Orsola… orsoline, vorranno chiamarsi. Quando tutto sembrava finito, il futuro è già tracciato. E se la mia vicenda sfuma nella leggenda, Angela, Giovanna e tante altre poggeranno i loro piedi nella storia. Donne fra le donne. Forse adesso comincio a capire. Spalanco il mio mantello: per ognuna, per tutte c’è posto.

Chiara Magaraggia

Leave a Comment