Sorelle d’Italia per il bene comune
“L’esercizio del voto, lungi dallo snaturare la donna, ne metterà a frutto le qualità e pregi, la cultura, la coscienza religiosa sociale […]. La donna eletta od elettrice sarà animata dallo stesso spirito di ordine, di previdenza, di sacrificio, di saggezza che impiega nel governo della casa. Colei che sa dirigere una famiglia è altrettanto capace di partecipare alla vita politica dello stato”. Chissà se Elisa Salerno avrà ripensato alle parole da lei scritte nel lontano 1913, quando in quello storico 2 giugno 1946 per la prima volta le donne si sono recate alle urne per esprimere il loro voto sul nuovo assetto da dare all’Italia (monarchia o repubblica?) e per scegliere coloro che avrebbero dovuto redigere la Carta costituzionale. Le donne, finalmente elettrici ed elette: tra loro ci potranno essere le “madri costituenti” e proprio a loro, al di là delle differenze di posizioni politiche e ideologiche, spetterà la stesura di alcuni degli articoli più innovativi della nostra Costituzione.
C’era voluta la guerra, col suo carico di tragedie, c’era voluta la partecipazione attiva delle donne alla liberazione dell’Italia, il loro sacrificio per conquistarsi il diritto di voto. E tante donne di tutte le categorie hanno dato il loro contributo: studentesse e casalinghe, operaie e insegnanti, infermiere e contadine, suore e perfino monache di clausura. Contributi tra loro diversissimi: ci sono state le combattenti nelle brigate partigiane, le staffette, le casalinghe che preparavano il cibo, le crocerossine che curavano a proprio rischio feriti e ricercati, conventi femminili che nascondevano ebrei o accoglievano donne ebree vestite da monache. È a testa alta e da protagoniste, dunque, che a guerra finita, liberato il paese dai nazifascisti, davanti al compito immane di ricostruire dalle radici e di innovare le istituzioni, esse rivendicano un nuovo ruolo conquistato davvero “sul campo di battaglia”, partendo dal diritto di voto, dalla rappresentanza nelle istituzioni, dalla partecipazione alle grandi scelte a favore della collettività, dalla possibilità di scegliere accanto agli uomini.
Certo, i risultati finali sembrano frenare l’entusiasmo su tutti i fronti: su 556 eletti complessivamente all’assemblea costituente, solo 21 sono donne. Nonostante ciò, la loro presenza è stata attiva e battagliera, particolarmente a proposito di questioni che si riteneva fossero a loro più vicine, quelle considerate più femminili e sulle quali avevano sicuramente più idee e argomenti da discutere: famiglia, maternità e infanzia, lavoro e tutela dei diritti. Temi su cui le elette, pur partendo da posizioni ideologiche diverse (cattolica, comunista, socialista, liberale), sono riuscite a trovare soluzioni comuni, grazie alla condivisione di un profondo senso di giustizia teso verso la realizzazione del bene comune, a partire dai princìpi di uguaglianza e solidarietà.
Per meglio capire la portata dei loro interventi, bisogna accennare a quale fosse la legislazione sulle donne in vigore. Secondo il Codice di famiglia in vigore da 1865 esse non avevano il diritto di esercitare la tutela sui figli legittimi, né tanto meno quello di essere ammesse ai pubblici uffici. Se sposate, non potevano gestire i soldi guadagnati con il proprio lavoro, perché ciò spettava al marito. Veniva ancora chiesta l’“autorizza-zione maritale” per donare beni immobili, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali. Le timide aperture del periodo successivo al primo dopoguerra vengono interrotte dalla legislazione fascista. Le linee-guida chiariscono: “La donna deve ritornare sotto la sudditanza assoluta dell’uomo, padre o marito; sudditanza e, quindi, inferiorità spirituale, culturale ed economica”. Per far questo si sconsiglia l’istruzione professionale, indirizzando verso quegli indirizzi che ne facciano “un’eccellente madre di famiglia e padrona di casa”. È su questo contesto giuridico-sociale che si focalizzerà l’opera di Lina Merlin (socialista), Teresa Mattei e Nilde Iotti (comuniste), Angela Gotelli e Vittoria Titomanlio (cattolico democratiche) e di tutte le altre; e va ad esse il merito della stesura di alcuni degli articoli fondamentali della Costituzione, a partire dal n. 3: “Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Unitaria è stata la vera e propria battaglia ingaggiata sulla priorità da dare alla distinzione di sesso su ogni altra causa di diseguaglianza. Dominanti sono poi le discussioni per il miglioramento della condizione femminile, in innumerevoli interventi e proposte di legge, alcune approvate solo tanti anni dopo. Basilari sono stati quelli sulla non licenziabilità delle donne sposate, la cancellazione della dizione N.N. dai documenti d’identità, il trasferimento delle carcerate negli ospedali per partorire allo scopo di non far comparire come luogo di nascita il carcere nel documento d’identità, l’inizio della pena dopo il compimento dei due anni del figlio, la necessità di un parto indolore, l’assistenza sanitaria alle partorienti bisognose. Grazie anche al contributo delle “madri costituenti” vengono inoltre introdotti principi cardine quali: la parità tra uomini e donne in ambito lavorativo (art. 4 e art. 37) l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi all’interno della famiglia (art. 29), la tutela giuridica e sociale ai figli nati fuori dal matrimonio (art. 30).
Ancora una volta fa riflettere il pensiero davvero preveggente di Elisa Salerno che già nel 1912 scriveva: “La donna prima dei 14 anni non dovrebbe, in nessun caso, essere occupata in lavori mercenari, né all’opificio, né al laboratorio, né a domicilio”. E già nel 1937 e poi nel 1950, nel volume Le tradite: “Il postulato del salario familiare non solo è irrealizzabile, ma anche nocivo, perché gli industriali ed in genere i datori di lavoro lo interpretarono in un modo solo: pagare all’uomo un salario più o meno giusto, e alla donna un salario ridotto, dimezzato, e peggio che dimezzato, col detto che non tocca a lei mantenere la famiglia”.
Sono passati più di settant’anni e se molto si è legiferato, molto ancora è da realizzare. Ma ne Le tradite il problema centrale si focalizza sulla doppia morale, sullo sfruttamento sessuale e le violenze di cui le donne sono vittime, donne “buttate via” fino a diventare oggetto di sottomissione, di umiliazione e di brutalizzazione nella prostituzione legalizzata. E qui la Salerno è davvero sorella della senatrice Lina Merlin, che per ben dieci anni, dal 1948 al 1958, instancabile, affrontando a muso duro ostacoli di ogni provenienza e di ogni colore politico, si batterà per l’abolizione delle case di tolleranza. Nel saggio già citato Elisa Salerno si schiera a fianco della Merlin, evidenziando da un lato “la freddezza e il disinteresse sintomatico del popolo”, dall’altro l’opposizione sistematica al progetto di legge anche in ambito ecclesiastico: “Nessun sacerdote (per quanto è risaputo), nessuna voce della Chiesa sorse a sostegno di sì provvido disegno di legge”. Non farà a tempo, Elisa, a godere finalmente dell’approvazione della legge, che avverrà pochi mesi dopo la sua morte. La modernità del suo pensiero e la sua eredità, però, appaiono ancora in tutta la loro attualità.
Il 27 dicembre 1947, sarà una donna in prima fila, Teresa Mattei, con altri 17 membri, a consegnare il testo completo della Costituzione nelle mani del Presidente provvisorio della Repubblica Enrico De Nicola. Una donna imprigionata, torturata, violentata dalle SS, che non si arrende e trova la forza di fuggire, salvata dal docente di filosofia dell’Università di Firenze, Eugenio Garin. E spetta a Teresa Mattei la scelta di “un fiore povero, facile da trovare nelle campagne e nei giardini” per rappresentare l’unione e la solidarietà che da allora accompagnano le lotte e le conquiste delle donne e la giornata dell’8 marzo: la mimosa.
Chiara Magaraggia