Il rapporto delle prime suore Orsoline con la natura e il mondo contadino
La recente pandemia ha messo a tema l’ineludibile rapporto dell’uomo con l’ambiente, dal quale dipende l’esistenza stessa: la vita è apparsa vulnerabile – esposta a fenomeni biologici e antropici che possono nuocerle – ed è necessario ricercare l’armonia con tutti gli esseri viventi, compresa la terra che ci ospita; la vita umana, condizionata dal territorio naturale e sociale, interagendo con esso lo modifica, rendendolo più o meno vivibile.
Scopriamo come la nascente comunità orsolina ha abitato il proprio contesto, portandone le fragilità, a volte inattese, inedite e gravose ben più di quelle attuali. Noi Orsoline siamo sorte a Breganze, piccolo comune rurale vicentino, che ai primi del ‘900 si evolveva, con il sorgere di aziende meccaniche e tessili, accanto a quelle agricole.
La civiltà contadina, legata ai prodotti della terra, caratterizza gli esordi della comunità, a partire dalle uova di una gallina vendute per contribuire a pagare la casa. Le suore ricevevano spesso in dono polli, uova, farina, latte, formaggio; appena ne ebbero la possibilità, piantarono un orto, e allevarono galline e maiali per il sostentamento proprio e delle persone accolte nel pensionato femminile e nell’orfanotrofio. Tutto ciò che la comunità riceveva o riusciva a produrre era ritenuto frutto della Provvidenza divina.
Il linguaggio e le immagini usati da Madre Giovanna e dalle prime sorelle facevano spesso riferimento al mondo agricolo (es. “Unite come i chicchi d’uva al loro grappolo…”); questa caratteristica si è tramandata nella nostra Famiglia religiosa, insieme all’uso di piantare un piccolo orto vicino alla comunità (prassi oggi diffusa col nome di “giardinaggio urbano”).
Il rapporto delle prime suore con la natura era legato alla sussistenza, operoso e fidente nell’aiuto divino. Per anni allevarono anche bachi da seta: un’attività impegnativa che richiedeva l’acquisto di ingenti quantità di foglie di gelso e che forniva un guadagno variabile, a seconda della capacità “produttiva” dei bachi. La natura è feconda, ma il raccolto è soggetto a molteplici fattori ambientali e quindi non garantito. Nei periodi di siccità che minacciavano le coltivazioni, le suore pregavano intensamente invocando la pioggia.
In contesti non urbanizzati e non industrializzati la gente sperimenta quanto la vita sia ancorata all’ambiente naturale e minacciata da eventi che l’uomo non può governare, come i temporali. Nell’estate 1885 Madre Giovanna rischiò di morire, colpita in pieno da un fulmine, e nel luglio 1920 un’altra saetta danneggiò esternamente e internamente la casa della comunità, che considerò una grazia divina l’incolumità di tutte le sorelle.
Per mantenersi, la comunità confezionava calze a macchina e ricamava; poiché lavorava su commissione, i guadagni erano incerti e variabili; nel 1930 due sorelle vengono assunte in un maglificio, occasione di vicinanza alle operaie e di guadagno stabile.
Come stiamo imparando a nostre spese, la rottura di un rapporto equilibrato con l’ambiente può causare disastri. Nella primavera del 1918 il mondo fu invaso dalla terribile influenza “spagnola”, che fece 50 milioni di vittime. Madre Giovanna morì in quel periodo, consumata dalle fatiche e da disturbi che nel tempo avevano minato il suo fisico; la comunità, invece, patì il contagio della spagnola e di altre malattie (polmonite, tisi, tifo) che si diffondevano tra la popolazione, spesso a causa delle malsane condizioni di vita dovute alle carestie e alle guerre. La comunità subì perfino l’ingiusto sospetto di non garantire alle suore una situazione salubre; in realtà, nonostante la povertà, la superiora vegliava sulla salute delle sorelle, curandosi che mangiassero a sufficienza e non lavorassero troppo; se qualcuna si ammalava, si ricorreva al medico e alle terapie occorrenti, per quanto costose: questo non bastò a evitare che qualcuna morisse. Pur di non allontanare dalla comunità le sorelle contagiose, si cercò di assisterle in un’infermeria isolata. Rispetto ai problemi sanitari del territorio, la carità e il servizio rendevano le sorelle disponibili ad assistere gli ammalati, di giorno e di notte; le famiglie ricompensavano questo gravoso e rischioso impegno con delle offerte.
La comunità condivise il dramma e i pericoli delle due guerre mondiali: “eravamo come l’uccello sul ramo, oggi per oggi”. Durante la Prima, i soldati requisirono la casa, lasciando alle suore poche stanze; il disagio della convivenza fu compensato da reciproci gesti di bontà: Madre Giovanna morì assistita dal cappellano militare, edificato dalla sua testimonianza; i soldati aiutavano le suore, ammirandone lo spirito di sacrificio. Durante la Seconda, nella scarsità di cibo, materiali e operai (erano al fronte), le suore portarono avanti la ristrutturazione di un edificio per accogliere gli orfani; una sorella fece da manovale. L’amore e la dedizione all’ambiente che ci ospita sono l’unica prospettiva di futuro nell’attuale precarietà.
sr. Maria Coccia