Cittadinanza inclusiva: il ruolo delle teologie

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Alcune interessanti prospettive aperte dal convegno promosso dal CTI a Verona

Il seminario annuale del Coordinamento Teologhe Italiane si è svolto quest’anno a Verona all’interno delle iniziative del Festival Biblico 2019 dedicato al tema “Polis”. Articolato in una tavola rotonda aperta alla cittadinanza al mattino e a un approfondimento, su iscrizione, al pomeriggio, il seminario aveva come titolo Cittadinanza inclusiva: il ruolo delle teologie. Nella tavola rotonda il primo intervento è stato quello di Rosario Giuè, prete e teologo di Palermo, impegnato soprattutto nell’ambito di uno sviluppo di pratica pastorale e riflessione teologica sulla lotta alla mafia. Il suo intervento, Essere teologhe e teologi nella città e coraggio civile, si è sviluppato a partire dalla sottolineatura della cittadinanza come frutto di un percorso storico che ha visto le madri e i padri della nostra Costituzione lavorare per un processo emancipante che è sicuramente da sviluppare, ma che è anche nostra responsabilità custodire e realizzare. L’obiettivo di “innamorarsi del destino degli altri” rischia oggi di bloccarsi o addirittura di fare dei passi indietro. La destra reazionaria sta approfittando della situazione sociale e politica che viviamo, alimentando le insicurezze e le paure che sono in ognuna/o. Di fronte a questa situazione, Giuè propone di riscoprire figure quali il teologo luterano Bohnhoeffer e il prete cattolico Bonaiuti. Il primo, tornando dopo un breve periodo di studi in America dove avrebbe potuto restare salvandosi, ha assunto la realtà che stava vivendo la sua terra e il suo popolo, rifiutando il silenzio di fronte alle ingiustizie e all’orrore del nazismo, fino a pagare il suo impegno con la condanna a morte. Bonaiuti, docente di Storia del cristianesimo nell’Università statale di Roma, fu uno dei 12 professori su 1225 che si rifiutò di firmare il giuramento di fedeltà al regime fascista nel 1931. Anche se la nostra realtà storica è diversa, Giuè afferma la necessità che le teologie e la chiesa italiana assumano oggi le fatiche e i conflitti che abitano le nostre città. Il rischio, altrimenti, è di essere un “mondo a parte”, mentre il senso e l’autorevolezza delle teologie si realizza solo se riferite alla trasformazione della realtà e del mondo.

Un mondo dell’1%. Economia, disuguaglianze, meritocrazia è stato il tema affrontato da suor Alessandra Smerilli, docente di economia politica e recentemente nominata Consigliere dello stato del Vaticano. Presentando alcuni dati ufficiali sulla povertà nel mondo, pur riconoscendo miglioramenti in alcune zone, Smerilli ha sottolineato un risvolto più oscuro: la concentrazione del potere e della ricchezza nelle mani di pochi. Della ricchezza creata nell’ultimo anno, l’82% è andato all’1% della popolazione mondiale. La disuguaglianza economica è ancora più significativa in quanto diventa subito anche disuguaglianza di diritti, tema centrale se si vuole riflettere sull’idea di città inclusiva. L’invito di Smerilli è stato quello di interrogarsi su una delle radici che oggi passa come qualcosa di normale, anzi di auspicabile, e cioè il concetto di meritocrazia. Dietro l’idea del merito c’è quella della “selezione dei migliori”, ma la parola meritocrazia è davvero la più adatta per indicare una situazione in cui vengono offerte buone possibilità a tutti? È una società del merito quella che desideriamo? O è utile piuttosto riaffermare la logica dei talenti? Ribadire, cioè, che nasciamo tutti diversi: a chi più ha ricevuto più sarà richiesto, in un orizzonte di operosità per il bene comune e non per l’esaltazione individuale del successo. “Credo”, ha concluso Smerilli, “che il nostro tempo abbia bisogno di teologi che riescano con leggerezza, in modo nuovo, a entrare nelle questioni fondamentali cercando di offrire una luce altra che tanti aspettano, per poter far cambiare il corso delle cose”.

Il terzo e ultimo contributo è stato quello della teologa Stella Morra, Teologia come custodia. Se le teologie si offrono come capacità di riflessione e di parola scambiata, in stretta relazione alla prassi e agli atti, esse hanno bisogno di ritrovare un loro posto, visto che – afferma Morra – negli ultimi duecento anni hanno vissuto una sorta di esilio nelle accademie, perdendo quasi del tutto il legame con le pratiche e gli altri saperi. La forma del vivere civile e della democrazia presenta oggi una serie di problemi legati soprattutto alla dissoluzione del trinomio fondativo tra pubblico, privato e comune, che nella forma occidentale ha eliminato il “comune” lasciando attivo solo il binomio polarizzante tra pubblico e privato, con tutte le conseguenze del caso. La teologia è oggi chiamata ad essere custode del comune, consapevole di essere in un territorio sconosciuto e di fronte a domande inedite. Forse, afferma la teologa, le “luci” su cui è necessario lavorare ancora molto possono essere date da narrazioni e pratiche inclusive e plurali, che tengano conto di orizzonti/desideri altrettanto inclusivi e plurali. Tessere insieme queste luci è l’unica possibilità di custodire il comune.

Donatella Mottin

 

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