Per le Suore Orsoline che, dopo la morte della Fondatrice, al primo riconoscimento ufficiale avuto dalla diocesi di Vicenza (1941) avevano assunto anche il titolo “del S. Cuore di Maria”, era trascorso già un trentennio di vita. Era vita fedele ed eroica, perseverante nelle difficoltà, perché si trovasse la formula canonica convincente di Congregazione religiosa sulla base della Regola di Sant’Angela. Così aveva voluto e scritto Giovanna Meneghini che l’aveva a lungo coltivata come spiritualità nella forma secolare, ma con la nota di vivere insieme come comunità, inserite nella vita del popolo, per la salvezza e la santificazione della donna. Sogno e vocazione a cui Dio l’aveva chiamata e accompagnata fino alla fondazione. Ma lei, la fondatrice, anche alla data dell’approvazione da Roma, del 25 marzo 1950, era ancora in zona d’ombra.
Già allora, intanto, le sorelle che si erano diramate in piccole comunità nei paesi di campagna e non solo, erano una presenza dell’amore di Cristo e di Maria, nel servizio educativo e di apostolato nella catechesi e nella carità, nelle piccole borgate di paese dove il popolo era il soggetto primo della vita delle parrocchie, le suore erano per le madri di famiglia e le giovani di questa realtà popolare una presenza amica, aiuto nelle circostanze difficili delle famiglie e consolazione.
Nel tempo e nel clima culturale di operosa rinascita degli anni cinquanta, in una Italia e un Veneto appena liberati dalla tragedia della seconda guerra mondiale, ma ancora nei limiti di varie forme di povertà, in cui ho trascorso il mio noviziato a Breganze, nella Casa Madre, ho conosciuto sorelle delle prime compagne di Giovanna fondatrice, vissute in comunità con lei, che avevano sentito il carisma di fondazione a lei concesso da Dio, con tale forza e dolcezza da non poterne dubitare, avevano respirato nella sua spiritualità di intimo dialogo con Gesù Cristo nell’eucaristia e nella “perfetta abnegazione”, fino a consumarsi d’amore nello zelo per farlo amare, sentendosi attratta ad “abbracciare tutto il mondo”.
Dopo i primi tempi da aspiranti e poi da postulanti, il noviziato durante la mia esperienza si rallegrava di nuove entrate due volte l’anno e due erano anche le date dei passaggi liturgici solenni verso la vita religiosa orsolina: il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, l’11 ottobre, festa della Divina Maternità. Due ricorrenze mariane che le novizie, allora compresenti dei due turni, – da dieci a 20 – animavano con il loro entusiasmo. Ed eravamo impegnate nel Canto della nostra spiritualità e liturgico, per le feste e novene della tradizione ecclesiale, che ci riempivano di gioia nella fede e nella vita fraterna, nel dono di sé, in “perfetta abnegazione” che noi vivevamo ancora molto imperfettamente, ma ognuna ne aveva un forte proposito.
Una Festa annuale della Fondatrice al 2 marzo, data del suo passaggio alla Vita in Dio, non c’era ancora, ai tempi del mio pur bellissimo noviziato, di cui non ho spazio per dire molto altro che offriva, come non c’erano ancora abbastanza altri mezzi per comprendere la portata di una forza di fondazione che era ancora in atto e non del tutto compiuta. Ma la Festa di Madre Giovanna eravamo noi, piene di vitalità, di gioia di crescere nell’amore di Cristo e nella speranza di diventare quello che la fondatrice aveva sognato e contemplato davanti a Gesù nostro Signore, “dolcissimo sposo”, esposto all’adorazione, per le sue care “figliole”.
sr Licinia Faresin