Gaspara Stampa

17
Mar

Mesta e pentita de’ miei gravi errori /e del mio vaneggiar tanto e sì lieve,

e d’aver speso questo tempo breve / della vita fugace in vani amori,

a te, Signor, che intenerisci i cori, /

e rendi calda la gelata neve,

e fai soave ogni aspro peso e greve / a chiunque accendi dei tuoi santi ardori,

ricorro; e prego che mi porgi mano a trarmi fuor del mare, perché uscire,

s’io tentassi da me, sarebbe vano. / Tu volesti per noi, Signor, morire,

tu ricomprasti tutto il seme umano; / dolce Signor, non mi lasciar perire!”

 

Le poetesse del Cinquecento godano oggi finalmente del giusto riconoscimento. Figlie della civiltà rinascimentale che spalancava anche alle donne l’accesso alla cultura – ma non agli studi universitari – provette musiciste, raffinate gentildonne, squisite intrattenitrici o semplicemente donne libere e culturalmente aperte, esse rappresentano una delle novità più eclatanti non solo del Cinquecento. Eppure non è sempre stato così. Per Gaspara Stampa, in particolare, la definitiva consacrazione come importante voce della poesia italiana risale a pochi anni fa, anche se è passata sotto silenzio la ricorrenza dei cinquecento anni dalla sua nascita (1523). Nasce a Padova nel 1523 da un’agiata e colta famiglia di commercianti orafi che le garantisce un’ottima formazione intellettuale: studia il latino e forse il greco, legge e ama i poeti italiani – Petrarca in particolare – è educata al canto e al suono del liuto. Alla morte del padre con la madre e i due fratelli si trasferisce a Venezia, dove vive perfettamente inserita nel contesto culturale della città, tanto che la sua casa è frequentata da letterati e artisti e i palazzi dei nobili aprono le porte al suono carezzevole del suo liuto e della sua voce, con cui canta i versi da lei stessa composti. È in una di queste occasioni che avviene l’incontro determinante della sua vita: quello con il conte Collaltino di Collalto. Ed è amore totale che, in tre anni di tormentata relazione, le ispira i versi più famosi in cui esprime con accenti di femminile sensibilità l’altalena di ebbrezza e di sofferenza. La differenza di classe sociale (lui nobile, lei borghese) impedisce il suo sogno di un’unione matrimoniale. Sprofondata in una lunga crisi in seguito all’abbandono, al dolce Signore che intenerisce i cuori, rivolge, assieme al sincero ricoscimento dei suoi errori, la supplica di prenderla per mano, di non lasciarla inghiottire dal mare della disperazione. Una voce lontana, quella di Gasparina, che ci racconta ancora una volta la storia di una giovane donna innamorata e poi tradita, che si spegne a soli trent’anni, lasciandoci versi che segnano di inchiostro rosa la storia della poesia italiana.

Chiara Magaraggia