La Parola di Dio ci insegna la sete e ci disseta
Mai come in questi ultimi mesi abbiamo riscoperto, anche noi dei paesi occidentali, l’importanza e l’essenzialità dell’acqua. La siccità prolungata, mettendo in difficoltà le coltivazioni e i raccolti, ha spinto regioni e città a definire restrizioni nell’uso dell’acqua e a richiamare tutti all’attenzione e agli sprechi. Ascoltare comunicati e notizie su questo tema, fa emergere dalla nostra indifferenza la presenza di terre desertificate e di popolazioni che da anni sono afflitte dalla siccità, dalla sofferenza per la sete e che attendono con speranza l’arrivo della pioggia.
Per chi cerca nelle Scritture parole antiche e sempre nuove per leggere anche la propria realtà, riandare ai molti passaggi della Bibbia che sottolineano il bisogno della sete e l’importanza dell’acqua, può dare stimoli nuovi per accogliere anche questo aspetto del nostro tempo e attraversarlo con fiducia. Si potrebbero percorrere tutte le Scritture seguendo questo filo rosso dell’acqua, tanto è presente in tutti i libri che le compongono, ma indichiamo solo alcuni testi che, partendo dal bisogno essenziale di soddisfare la sete, possono aiutarci a vivere con speranza “l’aridità” contemporanea.
Già durante l’esodo, il grande viaggio verso la libertà degli ebrei che avevano vissuto la schiavitù in Egitto, c’è un racconto proverbiale rispetto alla sete. Dopo l’episodio della manna, cibo quotidiano donato da Dio, si dice che: “il popolo ebbe sete”. Non c’era acqua e tutti si sollevarono contro Mosè, mettendo alla prova Dio, per avere di che soddisfare la propria sete. Dio fece scaturire l’acqua dalla roccia e quel luogo venne chiamato Massa (che significa appunto ‘mettere alla prova’) e Meriba (litigare) perché, in realtà, ciò che stava alla base di quel desiderio e di quel bisogno era l’interrogativo profondo: “Il Signore è in mezzo a noi o no?” (Es. 17,7). Questo significato così ampio dell’aver sete, che tocca l’interiorità dell’essere umano, è ancora più evidente nel Nuovo Testamento. Gesù proclama beati (particolarmente amati da Dio per la situazione che hanno scelto o che si trovano a vivere) gli “affamati ed assetati di giustizia”, trasformando il desiderio di giustizia che alberga nel profondo del cuore di tutti in qualcosa di necessario, come la fame e la sete. Rispetto alla sete come bisogno da soddisfare per vivere e, nello stesso tempo, come desiderio costante presente nei nostri vissuti per dare un senso all’esistenza, riveste un significato particolare l’incontro di Gesù con una donna samaritana che troviamo raccontato solo nel vangelo di Giovanni.
Gesù, si dice nel Vangelo, “doveva” attraversare la Samaria dirigendosi verso Gerusalemme e, in questo “doveva”, non c’è semplicemente un dato geografico. Il disprezzo che esisteva tra giudei e samaritani che erano considerati meticci, inferiori, gente con cui non avere a che fare, fa assumere un significato particolare alla scelta di Gesù di attraversare questa terra: egli va nelle periferie, da chi è lontano, entra in dialogo senza pregiudizi né di provenienza, né di ceto sociale e nemmeno di genere; condivide situazioni, desideri, speranze.
Si ferma a un pozzo, luogo privilegiato di incontri fondamentali nella Bibbia, e chiede l’intervento di una donna: “Dammi da bere” come dire “ho bisogno di te”. È una sete che, come si svilupperà nei versetti del racconto, dopo uno stupendo dialogo teologico, non si materializzerà nell’acqua del pozzo. Frase dopo frase, l’acqua diventa espressione di un bisogno più profondo che abbraccia tutta la vita. Gesù vuole entrare in contatto con le nostre diverse seti, con i nostri deserti, le nostre ferite, la nostra storia tutta intera così com’è. In fondo si tratta per ognuno di riprendere l’interrogativo che origina la nostra fede: “Dio è presente nella mia vita?”.
Gesù non berrà e la donna, abbandonata la brocca, correrà a raccontare quell’incontro straordinario, a condividere con altre donne e altri uomini la speranza di acqua viva.
Per credere vorremmo che la nostra sete fosse sempre soddisfatta, mentre Gesù ci insegna ad accogliere i dubbi, il silenzio, la fatica di scegliere comunque di abbandonarsi a un’attesa fiduciosa. Come quando sulla croce, dopo le parole strazianti: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” ha detto: “Ho sete”.
“Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo” (E.Hillesum).
Alla morte di Gesù, quando il soldato romano gli colpisce il costato con la lancia, ne sgorga sangue e acqua. Il pozzo è diventato sorgente presente in ognuno di noi, dono dello Spirito, desiderio di eternità, perché anche in quei momenti che appaiono come situazioni di fatica, sofferenza e anche morte, possono scaturire per noi, per le sorelle e i fratelli, speranze di vita.
Donatella Mottin