La cooperativa New Hope rinnova gli spazi
Nuovi intrecci, nuovi fili che tessono in modo creativo le antiche stoffe africane con la juta, con il cotone, con il lino. Nuove creazioni di prodotti belli, eleganti nella loro semplicità, utili nei tanti ambienti di vita della casa, dell’ufficio, delle scuole, delle chiese e della liturgia.
È proprio tempo di novità per la cooperativa New Hope di Caserta, animata dalla comunità di suore Orsoline di casa Rut ma al tempo stesso in autonomia gestionale e lavorativa, centrata sul lavoro di sei socie che hanno votato in Mirella Macovei la propria presidente, in una gestione partecipata e attiva dove ciascuna ha un suo ruolo e una sua caratteristica peculiare.
Lunghi anni di lavoro, da quel lontano 2004 in cui si è partite cariche di preoccupazioni per la richiesta della confezione di mille borse per un convegno. Sarebbero riuscite le giovani donne della casa di accoglienza, uscite dalla tragedia della tratta degli esseri umani, a consegnare in tempo la merce richiesta?
Ce l’hanno fatta e da allora non si sono più fermate, fino ad arrivare quest’anno a due nuovi traguardi: una nuova sede per il laboratorio di sartoria e un bellissimo negozio nel centro storico di Caserta.
Ne parliamo con suor Rita Giaretta, animatrice del servizio di accoglienza di casa Rut e ideatrice della cooperativa New Hope, che ora segue da vicino l’attività ma lasciando che siano le giovani donne a organizzare e sostenere il proprio lavoro.
Come è stato possibile “sopportare con pazienza le situazioni difficili e avverse”, come dice papa Francesco in EG 223, e arrivare non solo ad occupare degli spazi ma avviare processi che generano nella società nuovi dinamismi, di dignità e integrazione?
In dodici anni di cooperativa ci sono state molte difficoltà legate alla storia delle ragazze, delle giovani donne che hanno avuto bisogno di tempo “cucire le loro storie” tagliate, gettate a pezzi di corpo come un oggetto e non come esseri umani. È stato fondamentale aprire l’orizzonte su un oltre, sulla possibilità di non essere soltanto legate all’esperienza della tratta, ma vedere oltre essa le possibilità di vita dignitosa e realizzata. La fatica è stata nell’aiutare le ragazze a credere in loro stesse, a riprendere fiducia nel fatto di avere possibilità di lavoro, di poter uscire dalla tratta e riprendere in mano la loro vita, affrontando le difficoltà con fiducia e speranza.
Tanta pazienza: nel tempo del costruire insieme, del non dare tutto per scontato o per assistenzialismo, ma crescendo nel lavoro e nella giusta retribuzione, in una terra come quella del sud dove legalità e giustizia sono difficili da realizzare, ma non impossibili.
Tanta vicinanza: c’è stata una chiesa che da mons. Raffaele Nogaro, con cui siamo partite, al vescovo Pietro Farina, mancato in poco tempo nel 2013, e ora con mons. Giovanni D’Alise è stata vicina alla comunità e alla cooperativa con discrezione ma anche con grande affetto, declinatosi in tante azioni concrete, non ultima il comodato d’uso del locale in cui splende il nuovo negozio, il New Hope Store.
La vicinanza di persone amiche, di volontarie che aiutano praticamente l’attività e altre che la aiutano con le idee e la diffusione culturale, ha fatto e continua a far sì che possiamo affrontare le situazioni difficili e avverse con fiducia e con speranza.
I nuovi spazi hanno creato nuovi dinamismi tra le ragazze e nel territorio?
C’è stato davvero un salto di qualità: ognuna delle giovani donne che lavora in cooperativa si è riconosciuta con caratteristiche diverse, che sono andate ad armonizzarsi all’interno dell’ambito del lavoro. E allora una delle ragazze diventa la leader nell’organizzazione, l’altra nella creazione di nuovi prodotti, un’altra nella professionalizzazione in sartoria, un’altra nella vendita, un’altra nella confezione. Ci è voluto molto tempo, un tempo accompagnato dall’amicizia, dalla responsabilità comune, dal dialogo, dalla preghiera. Come gruppo, si sono davvero aperte: hanno un nuovo luogo e sentono tutta la responsabilità di gestirlo non solo per se stesse. La cooperativa si è aperta anche a due ragazze italiane che lavorano nel laboratorio, secondo le possibilità che la loro condizione fisica e di salute gli permette.
Un gruppo di americani che è venuto a visitare la cooperativa ha notato come vi sia una responsabilità condivisa in un ambiente che spesso accoglie anche i bambini delle giovani donne, dove tutte si sentono mamme di tutti questi piccoli da accudire. E se non possono stare in cooperativa, ecco che ci si aiuta con qualcuna che è a casa e custodisce i bambini, o li prende da scuola. Si impara insieme la solidarietà, oltre che cucirla!
Il dinamismo non c’è solo all’interno della cooperativa, ma anche fuori: l’attività con i bambini della scuola primaria che hanno progettato e realizzato il loro astuccio, le mamme che sono andate a visitare la sede, il gruppo degli scout che ha aiutato nel trasloco, le persone che lasciano un biglietto in cooperativa dicendo che è pagato il caffè di metà mattina, gli ordini di prodotti da vari istituti religiosi o da gruppi di diversa appartenenza culturale, i seminaristi che sono venuti a incontrare un segno di carità nella dignità del lavoro che è la nostra cooperativa… sono esempi di un cambiamento, di nuovi dinamismi che innervano e animano la chiesa e la società.
L’allestimento del negozio è molto particolare. Chi ha avuto questa bella idea?
Non è l’idea di una sola persona, ma di molte: ecco la bellezza delle idee unite ed intrecciate! Quando il vescovo ci ha detto che avremmo avuto quel negozio, nel centro di Caserta, abbiamo fatto salti di gioia: tutte siamo andate a vederlo, a pensarlo oltre quello che era prima, un luogo un po’ buio e all’antica. Con un amico architetto abbiamo fatto poi vari incontri, anche con il gruppo di amici scout: tutti e tutte hanno messo le loro idee, in un percorso che è diventato collettivo. Quante idee sono uscite! Era importante per noi il fatto di mantenere il marchio, con il cuore verde e la tessitura di nuove speranze, la terra, i fili di vite che si riallacciano in sé e tra di loro, le lampade semplici, il legno che richiama la terra…
E pensavamo ad un luogo che parlasse di bellezza: ragazze considerate ai margini, che si sentivano brutte, rinascono e risplendono. In un territorio come quello del sud, disseminato di rifiuti, abbiamo voluto trasmettere il messaggio che è sempre possibile rifiorire nella bellezza, nella legalità, nella responsabilità. Ogni scarto può rifiorire: con fiducia, speranza, stima, condivisione. E i piccoli fiori fatti anche con i ritagli di stoffa ci dicono che è possibile rifiorire, e rendere migliore questo mondo nell’intreccio delle relazioni, del lavoro, della dignità che crea bellezza di vita.
Grazie, New Hope: di essere segno della logica del buon grano che fa crescere il Regno!
sr. Federica Cacciavillani