21 novembre: una festa mariana incrocia la vita di sr Annarosa

18
Nov

Tra pochi giorni festeggeremo la Madonna della Salute, tanto cara ai veneziani perché loro patrona, ma la festa è conosciuta anche come presentazione al tempio della beata Vergine Maria, associata alle vocazioni claustrali. Abbiamo chiesto a sr Annarosa di raccontarci come salute e preghiera siano andate crescendo nella sua vita, nelle sue esperienze non sempre facili. Ecco la sua testimonianza.

La Presentazione della Beata Vergine Maria al tempio è una di quelle memorie mariane “minori” che troppo spesso passano inosservate nello scorrere dell’anno liturgico. Eppure è una festa importante, bella e antichissima, celebrata il 21 novembre di ogni anno sia dalla Chiesa Cattolica, come memoria, che dalla Chiesa Ortodossa, come festività maggiore.

Papa Francesco ci aiuta a entrare nel mistero di questa memoria: “Pensiamo a chi era la Vergine Maria: una ragazza ebrea, che aspettava con tutto il cuore la redenzione del suo popolo. Ma in quel cuore di giovane figlia d’Israele c’era un segreto che lei stessa ancora non conosceva: nel disegno d’amore di Dio era scelta per diventare la Madre del Redentore”.

Maria è la Donna che ha interrogato la Sacra Scrittura lasciandosi guardare dal suo Signore. Come il bambino, attraverso l’incontro con gli occhi e attraverso il sorriso della propria madre è stimolato al contatto sociale, così penso avvenga per chi desidera sperimentare un rapporto filiale col Signore nella vita quotidiana.

Papa Francesco offre a tutti un percorso di fede concreto: “Corriamo avanti, con tutto il Popolo di Dio, tenendo il nostro sguardo fisso su Gesù, e scopriremo con stupore che è Lui che guarda con amore ognuno di noi.” Il profeta Isaia ci sostiene incoraggiandoci: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore. Tu sei prezioso ai miei occhi … io ti amo.”

Sono cresciuta in un ambiente cristiano e accompagnata dalla fede di mia mamma, sviluppai presto un rapporto di confidenza con la preghiera. Anche le suore Orsoline che arrivarono nel mio paese contribuirono alla mia formazione. Avevo quattro anni e fui inserita nell’ultimo anno della scuola materna, ma continuai a frequentare le suore orsoline anche nel tempo della scuola elementare. La chiamata alla vita religiosa nacque con naturalezza: un po’ alla volta sentivo il desiderio di mettermi in cammino dietro a Gesù. Ammiravo i miei due fratelli che si consacrarono a Dio e anche le suore che mi contagiavano con la loro felicità. Tanti eventi contribuirono a chiarire a chi donare la mia vita e mi orientai a scegliere la famiglia religiosa delle Orsoline SCM. Nella quale vivo e sperimento che “La grazia di Dio in me non fu vana”, come dice san Paolo.

Dopo il tempo di formazione iniziale, la prima missione di apostolato fu a Roma nella scuola primaria, nel ruolo di insegnante e poi a Prato. Un tempo ricco di benedizioni, di studio, di apostolato, vissuto con gioia in fraternità, nelle parrocchie e con le famiglie.

Ai miei superiori avevo dato la mia disponibilità di partire per missioni lontane: Africa e Brasile, ma gli anni passavano e avevo accantonato questo sogno e non ci pensavo più. Quando meno ci pensavo io, s’illuminarono i miei superiori che chiesero la mia disponibilità di partire per la  missione in Mozambico, nella comunità di Gòndola, insieme ad altre sorelle. Mi presi un tempo per pensare alle mie risorse fisiche, dopo un rapido controllo medico sulla mia salute, accolsi la chiamata e mi preparai per entrare nella nuova cultura africana con cuore sereno. Arrivata in comunità con le mie consorelle, avevo intuito che era necessario entrare, in “questo tempio”, in punta di piedi. Ero chiamata a imparare il linguaggio del popolo per entrare nella loro cultura, ma ci voleva tempo per capire le parole, per cogliere i segni, i colori, i suoni, i silenzi, la musica, la danza, leggere la natura, distinguere i sapori, accompagnare con la preghiera…. era arrivato il tempo di spogliarmi dalle mie sicurezze, di abilitarmi nell’ascolto e di chiedere allo Spirito Santo il dono della pazienza e della sapienza.

Dai bambini imparai tante cose, infatti anche qui i primi maestri furono loro. Un giorno mi vennero incontro salutandomi con quella gioia festosa che solo loro sanno portare. Presi coraggio, li accolsi nello spazio esterno della nostra casa, mi mostrarono tanti oggetti creati da loro e conversammo insieme. In seguito essi furono le mie guide turistiche. Mi insegnarono i percorsi dei Bairo e mi accompagnarono nelle loro case per presentarmi i familiari, i nonni, gli amici. Ero felice, piena di gioia: le prime conoscenze si allargavano. Alcuni bambini quando uscivano dalla scuola venivano nella nostra casa per un doposcuola libero.

Ricordo bene quel pomeriggio del 10 giugno mentre preparavo con i bambini l’addobbo per una festa di un giovane sacerdote, improvvisamente mi sentii perdere le forze e nell’arco di una giornata cambiò radicalmente la mia vita. Ero colpita da una malattia rara Guillain – Barrè che, non ha solo distrutto i miei nervi, ma ha minato le mie certezze di continuare la missione e di affrontare le avversità che avrei potuto incontrare nella vita.

Il mio “disegno” di missionaria cambiò radicalmente. Gli arti inferiori, braccia e gambe, non si muovevano più. Ero paralizzata! Questa malattia è poco conosciuta nell’epoca della globalizzazione, dove tutto è a portata di clik.

Ebbi i primi soccorsi dai medici italiani presenti a Beira, che diagnosticarono subito la gravità della malattia e mi organizzarono un immediato soccorso a Johannesburg. Le mie condizioni peggioravano a vista d’occhio. Ero avvolta in un misterioso silenzio che alimentava paura e la solitudine. La paura di morire era accovacciata al mio letto.

Quanti pensieri affollavano la mia mente nelle ore che diventano giorni, i giorni farsi settimane, e le settimane farsi mesi!

Ma il Signore mantiene le sue promesse, infatti era con me e, nel buio più fitto riuscì ad accendere la speranza. I salmi erano “l’olio” che alimentavano la mia lampada. Li avevo imparati a memoria nel tempo della mia infanzia e pregati nel corso della vita. Amavo ripeterli anche mentre camminavo tra i Bairo: “…Erano più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante (sal 19) erano delle “pillole” di forza: capivo che non ero sola in questo tempo di immobilità e di fatica inspiegabili: chi mi asciugava le lacrime?

Condividevo lo spazio con tanti ammalati, poveri di salute come me. Con qualcuno incrociavo lo sguardo in segno di coraggio: potevo muovere solo la testa.  Alcuni gridavano il loro dolore, per altri scattava il segnale di fine vita e… la paura aumentava.

Pregavo per loro e dalla mia memoria estraevo salmi dal sapore nuovo e il testamento lasciato da Gesù “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Gesù mantiene le sue promesse. Mi piacevano le sue espressioni quando fissava lo sguardo verso chi chiedeva aiuto, mi sentivo guardata e amata insieme ai nuovi amici di viaggio e li affidavo al buon Dio.

Dopo alcuni giorni di ricovero, arrivò una visita inaspettata. Sr Anna, che mi assisteva, venne con un sacerdote che mi portò i sacramenti: l’Eucarestia, il Perdono, l’Olio santo. Questo era l’abbraccio che desideravo!

Da questa esperienza imparai a guardare le persone che si prendevano cura di me con tenerezza: la calma tornò. Un po’ alla volta imparai la pazienza di aspettare le tante richieste di aiuto di cui avevo bisogno, come quello di asciugare gli occhi e il naso. Non potevo muovere neppure un dito. Avevo bisogno di tutto e di tutti. Avevo imparato un po’ di autocontrollo, nella vita, ma non pensavo di sperimentare una richiesta di controllo così alta!

Consolata dall’abbondanza di “Grazia” iniziai a pensare che anche in quelle condizioni fisiche potevo continuare a vivere la missione: mi vedevo in cordata con gli ammalati che avevo visitato nei Bairo e avevo promesso preghiere. Iniziai a elencare le fortune che avevo come la possibilità di essere curata.  E le parole di Madre Giovanna si concretizzavano in me. Dovevo imparare un nuovo modo di “Far conoscere a tutto il mondo, la bontà infinita di Dio verso le sue creature e specialmente verso di me, perché mi ha trattata con finezze d’amore.” (M. Giovanna Meneghini)

Dopo un mese di ricovero a Johannesburg, mi organizzarono il ritorno in Italia, e, ricoverata al s. Bortolo per circa un anno di recupero delle forze, ritornai in comunità a Breganze nella Casa Madre.

Con le sorelle più malate, condivido oggi il tempo per tenerci compagnia durante il giorno e nella preghiera per adorare Gesù esposto nella nostra cappella ogni pomeriggio. La mia preghiera si arricchisce di tanti volti incontrati e di quelli che incontrerò.

Il recupero è stato lento e faticoso. La mia forza arrivava di un millimetro alla settimana.  Solo un esercizio costante può essere efficace per recuperare la forza degli arti. Quante sudate! Che fatica per fare una qualsiasi azione! Ma quanta soddisfazione quando imparai a camminare, a mangiare, a scrivere: una resurrezione continua!  Ristabilita ulteriormente nelle forze, accolsi con gioia e trepidazione l’invito del parroco che mi chiedeva un servizio nella parrocchia di Breganze. Mi proponeva di fare un percorso di fede con alcuni genitori catechisti che si erano resi disponibili a trasmettere la FEDE ai loro figli nella comunità cristiana. Accolsi la proposta con gioia, ma anche con trepidazione. E che dire?  Egli mi condusse per vie che non avrei mai immaginato e tutto, tutto mi concesse (M. Giovanna).

sr. Annarosa Zanoni

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