21 marzo: Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

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Il 21 marzo non è soltanto il primo giorno di primavera, ma anche il giorno in cui le associazioni contro le mafie (Libera, in particolare) promuovono una giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Non sono coinvolti solo uomini, ma in modi molto diversi sono coinvolte le donne, i figli… E tra loro ci sono anche alcune donne vittime del sistema mafioso. Presentiamo la figura di Lea Garofalo, vittima di femminicidio.

Lea Garofalo scompare nel nulla il 24 novembre del 2009, ha 39 anni e una figlia di 18 anni, Denise. La sera in cui scompare è con la figlia a Milano, arrivata da qualche giorno da Petilia Policastro, in Calabria: ha accettato di incontrare Carlo Cosco, il padre di sua figlia, il compagno che ha lasciato nel 1996 quando lui viene arrestato per traffico di stupefacenti, che chiede di parlare del futuro della figlia. La sera del 24 novembre Carlo Cosco accompagna la ragazza a salutare gli zii e poi torna a incontrare da sola Lea, l’ultima traccia che resta di lei è un video mentre cammina con la figlia nella zona dell’Arco della pace, ripreso dalle telecamere di sorveglianza nel quartiere. La sera stessa sarebbe dovuta rientrare in Calabria con la figlia, ma Denise quando vede che la madre non torna va a denunciarne la scomparsa. Troppo presto. Non sono passate neppure 24 ore.

La ragazza torna il giorno dopo, è determinata e sicura che la madre non possa essersi allontanata volontariamente. Racconta ai Carabinieri tutto quello che sa. Quello che viene fuori, e che il processo confermerà ricostruendo puntualmente la vicenda umana di Lea Garofalo nella sentenza di secondo grado poi confermata in Cassazione, è la storia della «Vittima di un destino crudele», per cui la figlia Denise, «era l’unico scopo di vita e per tentare di darle una vita diversa, si era contrapposta alle logiche criminali del suo ambiente d’origine».

«Lea», scrivono i giudici riassumendo la sostanza della sentenza di primo grado, «era nata in una famiglia in cui violenza e illegalità erano i caratteri dominanti e fin da piccola aveva tentato di sottrarsi a questo codice. Ella durante la sua permanenza a Petilia Policastro, aveva avuto modo di apprendere notizie su vari episodi criminosi – fra cui l’omicidio del padre e dello zio – che avevano dato vita alla c.d. “faida di Pagliarelle” fra la sua famiglia e quella dei Mirabelli, protrattasi fino al 1992, con un pesante carico di morti ed il diretto coinvolgimento del fratello Floriano a sua volta ucciso nel giugno del 2005. Innamoratasi di Carlo Cosco, Lea era scappata di casa insieme a lui. Dalla loro unione nel 1991 era nata Denise».

La scelta di stabilirsi a Milano con lui è definita dai giudici «infelice», perché quello che Lea trova non è troppo diverso da quello che ha lasciato Quando il compagno nel 1996 viene arrestato, Lea decide di lasciare il marito e glielo dice in un colloquio a san Vittore, la reazione è violenta al punto che la polizia penitenziaria deve intervenire. Lea si trasferisce a Bergamo, trova lavoro, interrompe ogni rapporto e nega al compagno la possibilità di vedere Denise. In quel contesto secondo i giudici, fatto di un misto di rabbia per l’impossibilità di vedere la figlia e di disonore percepito, matura l’intento omicida.

La donna subisce intimidazioni, quando per la seconda volta trova la macchina incendiata si risolve ad andare dai Carabinieri a raccontare le cose che ha visto in una vita e per sette anni vive sotto protezione, cambiando più volte regione con la figlia. Il compagno nel frattempo uscito dal carcere tenta di contattarla più volte. La sua scelta di testimoniare nell’immediato non porta arresti e processi, Lea stanca e sfiduciata esce dal programma di protezione una prima volta nel 2006 e poi definitivamente nel 2009. In quel momento difficile Lea incontra don Ciotti, non crede più nello Stato e gli racconta della sua situazione, di testimone di giustizia trattata da collaboratrice (la legge che attribuisce una autonoma figura al testimone verrà solo nel 2018), chiede aiuto e incontra l’avvocato dell’organizzazione Enza Rando, che poi assisterà Denise e che le aveva suggerito di non incontrare il compagno da sola.

Una serie di episodi tra cui un pregresso tentativo di sequestro, di cui il compagno ha in seguito ammesso di essere il mandante, convincono i giudici del fatto che l’omicidio di Lea, poi avvenuto nel 2009, fosse largamente premeditato fin dagli inizi degli anni Duemila. Quando Lea scompare, lei e Denise sono a Milano da alcuni giorni, i rapporti con Cosco sembrano tranquilli ma è una trappola che serve a scardinare la diffidenza delle due donne. Sarà il coraggio di Denise, testimone lucida e attendibile al processo contro il padre, a consentire di rendere giustizia a Lea. Per il suo omicidio, con l’aggravante della premeditazione, sono stati condannati con sentenza definitiva il 18 dicembre del 2014 all’ergastolo il suo compagno e altre 4 persone. Tra loro c’è Carmine Venturino, assoldato per l’omicidio che incaricato di controllare Denise, un controllo che si trasforma in un legame affettivo. Fino a quando la ragazza non scopre che viene arrestato per l’omicidio della madre. Saranno le dichiarazioni di Venturino in sede di appello a consentire di ritrovare i resti, carbonizzati e non sciolti nell’acido come si era ipotizzato, di Lea, nel 2012 a San Fruttuoso (Monza). La collaborazione trasformerà l’ergastolo avuto in primo grado in una condanna a 25 anni.

Il funerale civile di Lea Garofalo è stato celebrato il 19 ottobre del 2013 a Milano in piazza Beccaria a Milano, alla presenza di don Luigi Ciotti, quel che rimane di lei è sepolto al Cimitero monumentale di Milano. Nel 2015 la sua storia è diventata un film di Marco Tullio Giordana.

Articolo di Elisa Chiari pubblicato su Famiglia Cristiana

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